La difesa personale è un vero puzzle.
Bisogna far coincidere lo scenario, l'aggressore, la sua stazza, la
sua motivazione, la nostra forma fisica, il nostro stato d'animo, la nostra stazza e la sua forza. Se questi elementi non si incastrano
sufficientemente bene le possibilità di insuccesso si moltiplicano.
Snervante è pensare che basta uno degli elementi citati a sfuggire
al nostro controllo per metterci in una condizione di insuccesso.
Uno dei più grandi problemi degli
approcci alla difesa personale è senz'altro la mancata conoscenza
dei limiti entro i quali questa deve essere effettuata e quando va
sfatto scattare il piano H.
Troppo spesso vengono suggeriti scenari
estremi: difesa da armi improprie, da lame, da pistole, difesa contro
più persone, contro uno stupratore e via dicendo. Sono scenari
estremi e per molti di questi non esiste che il piano H.
Il complesso puzzle non sembra essere
davvero allenabile e gestibile. L'unico modo forse è provare ad
allenarsi quanto più non collaborativamente possibile, ma anche
questa è una soluzione che prende solo alcuni pezzi del puzzle. Ma
la cosa che più mi raccapriccia è che nessuna scuola ove si
contempli la difesa personale prende in considerazione il piano H e
le sue ragioni psicofisiche. Sappiamo della triplice reazione
autosuggerita dai nostri meandri neuronali dell'individuo sotto
stress: fight (combatti), flight (fuggi), freeze (congelati). Ma la
conoscenza di questa partizione è accademica e capziosa, non
esaustiva come la possibilità e la drasticità del piano H.
Il piano H è stato sviluppato da me
anni addietro ed è riassumibile in un istante di genio di un
fulmineo e concitato dialogo. In una brutta situazione mi fu chiesto:
“se vengono verso di noi che famo?” risposi illuminato “famo
scattà er piano H”. Il conciliabolo sembrava finito, ma il mio
amico mi chiese “cioè? Che è er piano H?” “cioè se famo
addosso a cacca”.
Suggerito il piano H, lo attuammo e ci
mettemmo in sicurezza.
Il piano H è l'unico sempre valido
nella difesa personale.