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lunedì 15 ottobre 2012

Penso che per tutti noi era il match della serata. Il motivo in fondo ovvio: vedere se l'arte soave fosse rimasta tale o ormai avviata inesorabilmente all'atletismo delle mille qualità allenabili.
Pari. O meglio, non esattamente. Lo sconfitto è colui che si lamenta del risultato della gara, non può essere altrimenti, quindi forse Galvao ha perso.
In una competizione Ibjjf avrebbe fatto una vagonata di punti, molti davvero. Ne avrebbe fatti ancora di più se fosse stato zitto alla fine del match, senza rilasciare quella sciocca dichiarazione "lottiamo con le mie regole e poi vediamo chi vince"... ironico, provocatorio. Fischiato.
Le regole di Galvao sono un'astrazione, un adattamento della realtà all'intelletto, qualcosa di arbitrario, stabilito, qualcosa di artificiale, tant'è che cambiano le "sue" regole, cambiano e cambieranno. La finalizzazione non è una regola è la legge di natura. E' la regola della sopraffazione, della tigre che morde il collo della preda, è l'insindacabile vittoria. Non abbiamo bisogno di nessun regolamento per sapere chi ha vinto quando una persona sviene o gli viene rotto un braccio. Con le regole dell'intelletto sì, Jacaré docet.
Come sostengo da tempo alcuni parametri ormai del tutto acclimatati e connaturati al Jiu Jitsu sono assurdi. Punti per il passaggio della guardia: cosa decide? Come può dare punti qualcosa che è semplicemente l'inizio del combattimento vero e proprio per colui che risiedeva nella guardia avversaria?
Tutti siamo stati fulminati da un triangolo, da un armlock o da un mata leao. E tutti credo ne abbiamo percepito la potenza. La sensazione relativa al passaggio di guardia, invece, mi accompagna dalla prima volta che me lo hanno spiegato:  un gesto tecnico dove inesorabilmente le qualità atletiche sono più evidenti. Qualunque esse siano: esplosività o velocità o forza pura. Un gesto che tra i dilettanti come me si trasforma sempre o quasi in un braccio di ferro abominevole.
Era un semplice allenamento e il mio avversario riusciva quasi nell'intento di passare la guardia. Pongo le mie mani alla meno peggio, una sui fianchi una sulla spalla. Il tizio preme. Non so se per sovrabbondanza di forza sua o per carenza di grip del tatami, fatto sta che come un compasso ho iniziato a ruotare schiena a terra, a disegnare un cerchio per terra come Doris di mediobanca. Feci più di 360° gradi, forse un pochino provocatoriamente, ricordo che abbozzai un sorriso, come a dire "se sei contento così seguita pure e fammi pulire il tatami tutto". Scene ordinarie o quasi, con un avversario che sarebbe dovuto essere, tradizionalmente parlando, mio senpai. Scene da un matrimonio, quello del Jiu Jitsu con le regole dell'Ibjjf.
Culi a terra fanno segnare due punti, un regolamento astruso, uno dei più complicati senza dubbio su tutto il panorma agonistico. Stranezze. Iniziammo tutti per il vale tudo. Termine desueto e un pochino ridicolo ormai, ma è la verità. Poi il demone della coppa di plastica e della gloria effimera si è impadronito di molti che comunque rimangono una minoranza. La maggioranza invece è rimasta appecoronata, supina verso i dictat impliciti della pratica di quanti hanno scambiato la coppa di plastica da dodici euro con il sacro Graal. Sicuramente la necessità di recuperare i punti persi espone alla finalizzazione. Sicuramente quella finalizzazione, però, è un altro artificio, una forzatura.
Ryron contro Galvao dicevamo, Ryron contro il Jiu Jitsu moderno. Pari? No, ha vinto chi ha dimostrato che alcuni tecnicismi, alcune posizioni, sono del tutto inutili se non migliorate con qualcosa d'altro, se non caricate con i nostri schemi mentali e artifici burocratici.
Un altro Jiu Jitsu è possibile. E ben vengano a questo punto i Metamoris, i Lutador De Elite e Sagittarius e lo zodiaco tutto. Ben vengano le alternative. La libertà di scegliere è sempre un bene, il monopolio, è evidente, no.
Quelle gare dove falsi gesti tecnici segnavano punti già ce le avevamo e già le avevamo derise, già le avevamo schifate.