Breaking News
Loading...
giovedì 6 gennaio 2011

Chi come me ha speso tanto tempo, tra le altre cose, sollevando ghisa, dedicandosi alla crescita dei muscoli, della forza e delle prestazioni fisiche in genere dovrebbe provare l'altra faccia dei muscoli, la mente.
Praticare un'arte marziale è molto facile. Basta iscriversi in palestra e seguire un corso. Anche se si è studenti pigri il tempo sarà galantuomo e la vostra fedeltà, più che la vostra pratica, verrà premiata con gli scatti di grado che hanno come unico metro il tempo. Quando al primo infortunio piuttosto serio ci si accorge che le nostre qualità fisiche, particolarmente quelle aerobiche e di scioltezza, sono svanite nel nulla, ci si sente come se tutto il tempo speso fosse stato vano. Mi capitò con il Karate. Una volta che mi diagnosticarono (ma in verita ad oggi nessuno sa cosa ho esattamente) la sindrome della bandelletta ileo tibiale (altre volte mi dissero sindrome femoro-rotulea, ma la sostanza non cambia) e le mie ginocchia iniziarono ad essere insofferenti ai movimenti marziali, vidi tutto quello che sapevo perso. La scioltezza un tenero ricordo di infanzia, la capacità di calciare alto pure. Riprendere sembrava impossibile e fui costretto per molto tempo, anni, ad una solitaria pratica che comunque ha inevitabilmente condizionato e ritardato il mio cammino marziale. Se oggi preferisco approcci privati a quelli di classe, oltre che per motivi di natura didattica che avrò il piacere di spiegarvi in un'altra occasione, una delle motivazioni risiede anche in questa antica abitudine a lavorare solo.
Tutte le volte che provavo il mio Karate provavo dolori inenarrabili a volte fino a causarmi la sensazione di vomito imminente. Questo anche perché in un dato momento mi ero convinto che solo passando attraverso il dolore sarei riuscito a sconfiggere i miei mali e più sentivo il dolore acuirsi più mi allenavo duramente. Non so cosa pensassi, ero convinto di sbloccare qualcosa così facendo. Un giorno finii sdraiato sul parquet di casa mia, dopo aver chiesto per l'ennesima volta troppo alle mie ginocchia e non sapevo riconoscere se era più forte il dolore delle ginocchia o quello del pensiero che a poco a poco, mi sembrava, stavo diventando invalido. Il percorso fu lungo, lunghissimo, tant'è che ancora dura. Ora fortunatamente i dolori sono diventati sopportabili seppur cronici. Proprio nel periodo della mia lotta col dolore più forte che questa strana e misteriosa patologia mi diede pensai che se non volevo rinunciare alle arti marziali avrei dovuto ricominciare da una "low impact", per dirla alla moda, una senza esasperazioni fisiche, articolari, muscolari. Fu così che iniziai ad interessarmi, tra le altre, al Ju Jitsu tradizionale e poi al JKD/Wing Chun. La mia continuita nello stretchare il tensore della fascia lata, lo psoas-iliaco e tutti quei muscoli che mi avevano consigliato di trattare mi portò ottimi risultati. Maggiormente sulla gamba sinistra. Tra alti e bassi ho ripreso discretamente e oggi sono felice della mia tenacia e del mio recupero.
Ho conosciuto e purtroppo da vicino, persone che dopo 10 anni filati passati a fare un'arte marziale non conoscono nulla di questa e spesso sono anche pessimi esecutori delle tecniche. Eppure, magari, un grado altisonante gli pendeva dall'uniforme. Persone che invogliati dai genitori, amici, amici degli amici, promozioni e super offerte della palestra, inerzia o semplice monotonia hanno continuato per un tempo considerevole e senza interruzioni un percorso marziale di cui oggi non hanno nulla. Non gli è rimasto nulla. Incapaci di eseguire senza ripasso le tecniche, non ricordano più nomi e storie della disciplina, privi nel presente di ogni traccia del loro passato marziale.
Vedo molti praticanti, soprattutto quelli più aggressivi e convinti, destinati a questa fine. Hanno pagato per anni un qualche abbonamento, il loro corpo ne ha giovato ma poiché nel mondo tutto è effimero il loro corpo ora decade, i soldi spesi non sono stati un investimento ma un furto, la loro pratica finità non è neanche più ripercorribile perché non è mai esistita fuori dalle mura della palestra.
Chi ha avuto come me problemi fisici sa di cosa parlo. Sa quale impressione facciano queste persone, che in un primo momento vedevamo come fortunate ma oggi appaiono come un nulla, come un numero di tessera, un colore di una qualche stoffa. Le arti marziali le hanno solo sfiorate perché non hanno mai conosciuto l'altra faccia dei muscoli. La mente, la tradizione, lo studio, lo sperimentare senza essere supini di fronte al proprio maestro, teorizzare, provare a sentire l'energia dell'Hara o del Dan tien  e vedere un po' se davvero esiste, provare le tecniche che come un bignami potrai portarti sempre appresso anche quando non sarai atletico, studiare quei principi che anche senza stile faranno del tuo corpo una macchina migliore... queste sono le cose che restano. Il fiato, la forza, la velocità, l'ipertrofia, la definizione, la scioltezza sono effimeri. Soffrono il tempo, la forza di gravità e gli impegni del quotidiano. Non potrai magari un giorno allenarti sei volte a settimana. Se avrai lavorato bene su queste cose sarai per sempre un'artista marziale. Anche i Gracie, tra i più prosaici e materiali dei marzialisti leggendari, hanno la loro parte esoterica, la loro filosofia, la loro logica geometrica, le loro convinzioni, la loro storia, i loro valori. Sono precisi e scanditi. Questi fanno sì che un pugno sia sempre un pugno anche quando non avrai più un nome esotico da dargli o lo avrai semplicemente scordato, il nome. Gli studi, le sperimentazioni, le meditazioni, la respirazionione addominale, provare a fare il massimo danno col minimo sforzo, imparare a ottimizzare le nostre risorse sono le cose che rimangono e che ti salveranno la vita, a prescindere da quale sia la materia dell'attacco. Sono le cose che fanno l'artista marziale, ovvero colui il quale sa predisporre il proprio corpo e il proprio spirito all'arte della guerra.

Per questo motivi mi sento di consigliare a tutti una pratica "diversa" da affiancare a quella già praticata. Ce ne sono tante possibili e le vedremo in un altro momento.