Aiutiamoci con l'enciclopedia Treccani:
violenza violènza s. f. [dal lat. violentia, der. di violentus «violento»]. – 1. Con riferimento a persona, la caratteristica, il fatto di essere violento, soprattutto come tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione, o anche soltanto come modo incontrollato di sfogare i proprî moti istintivi e passionali: un uomo rozzo e volgare, noto per la sua v., per la v. del suo carattere o temperamento; era incapace di dominare (o controllare, frenare) la v. della sua indole. Per estens., riferito ai sentimenti e alle loro manifestazioni, forza particolarmente intensa: reprimere la v. degli istinti, della passione; sfogare, contenere la v. dell’ira.Alcuni termini chiave, a mio giudizio, sono facilmente deducibili. Abituale, brutale, irrazionale, volontà, sottomissione.
In uno sport da combattimento, nella sua massima espressione esterna che è il match, l'incontro, possiamo sicuramente escludere alcuni termini e alcuni concetti della gradevole definizione Treccani.
L'incontro non è abituale per definizione. E' al contrario un evento, sostanzialmente isolato, semmai frutto dell'abitudine ad una buona ginnastica, ad una buone preparazione. Irrazionale, scompare dal momento in cui conosciamo la pianificazione logica, le regole e calendarizzazione dell'incontro. Il combattimento poi non cozza neanche con l'idea imporre la propria volontà, in quanto i contendenti sono consci dello scontro reciproco e paritario. Si impone la tecnica, la volontà fa solamente una buona tecnica. Brutale. Sicuramente c'è della brutalità, soprattutto negli sport ove sussistono anche percosse, ma brutalità sembra troppo un pari di violenza, un sinonimo. Può trarre in inganno perché probabilmente per sussistere la brutalità deve anche essere presente l'irrazionalità, la volontà, la sottomissione. La brutalità da sola è forse un po' un concetto più letterario che adatto alla nostra tesi. Parlando di brutalità abbiamo incontrato il termine sottomissione. Al di là di giochini di parole, quali le considerazioni che sottomissione è un sinonimo di finalizzazione, di leva, soffocamento, di presa dolorosa riuscita, la sottomissione nel combattimento sportivo è un contratto di mutuo accordo. Ciascuno accetta questa possibilità, pertanto non può essere sottomesso propriamente, poiché nella sua volontà risiede l'accettazione della possibilità di esserlo.
Ora ad una attenta analisi il combattimento sportivo, per quanto cruento, sembra non essere propriamente violento.
La violenza proprio per la sua particolare composizione, fatta di abitualità, irrazionalità, desiderio di sottomissione e di piegare la volontà altrui, sembra essere non imputabile ad un evento, programmato, regolamentato e limitato, ma sembra essere una caratteristica di un soggetto. Il violento effettivamente può prendere parte al combattimento sportivo, può trovare in esso anche rifugio, ma inevitabilmente si caretterizzerà anche in quest'occasione come tale, anche tra pugni, calci e sangue saprà mostrare la sua incongruenza con lo sport e quindi il suo essere violento. Un esempio per tutti il morso di Tyson, che, con ovvia volontarietà, staccò la cartilagine dell'orecchio al suo avversario. Accusato di violenza sessuale, di rissa e via dicendo Tyson è un animo incline alla violenza e come tale non ha saputo regolamentarsi e sottostare alla razionalità delle regole. Irrazionale, abituale (dentro e fuori dal ring), volontà, sottomissione (l'avversario non poteva prevedere questo tipo di scontro e di lesione), eccoli, sono usciti fuori.
In un contesto sportivo il violento si caratterizza per la fallosità, per lo squilibrio tra tecnica e forza, per l'approccio al combattimento, che egli vede come prova della sua violenza, non come somma di abilità.
Il violento in quanto abituale alla pratica della coercizione, non è legato a niente. E' un lato, deprecabile, del carattere umano. Uno dei più importanti studi sulla violenza, riportato nei testi di sociologia e psicologia, parla di una rapporto costante: aggressività (violenza)-frustrazione.
Quando in palestra incontrare il duro, l'impavido, quello dalla mano pesante, quello che quando arriva un altro violento lo cerca subito per il confronto, quello che non conosce mai allenamento ma è sempre gara, colui che si dipinge fumantino nella vita, ebbene, costui, stando ai migliori studi è semplicemente un frustrato.
Sempre dalla Treccani:
Abbiate pena di costoro. Non imitateli (particolarmente per i giovanissimi), non stimateli, non hanno alcuna qualità. La loro benzina è la loro infelicità.frustrazióne s. f. [dal lat. frustratio -onis «delusione», der. di frustrare «frustrare»]. – 1. Sentimento di chi ritiene che il proprio agire sia stato o sia vano: provare un senso di frustrazione. 2. In psicologia, condizione di tensione psichica determinata da un mancato o ostacolato appagamento di un bisogno; può avere cause esterne (per es., un’educazione troppo autoritaria), o interne (per es., presenza di due bisogni di uguale intensità ma di opposta direzione o comunque incompatibili). Con sign. più specifico, in psicanalisi, effetto della mancata soddisfazione di una pulsione.