Il Mik è Michele Verginelli. L' "ho paura", ma guarda un po', sono io.
Difficile dirlo, c'è sempre qualcosa di strano, paura fa sempre rima con vergogna, ma è stato spontaneo. Quando mi setto per studiare il combattimento umano provo sempre a tirare fuori il meglio, provo sempre a usare quell'onestà d'analisi che mi fa sentire sempre un marzialista, sia che abbia una cintura nera, o blu sui fianchi sia con due guantoni. E l'onesta è arrivata di botto d'avanti gli occhi, e prima era passata per la spina dorsale e poi è esplosa sulla lingua. L'ho detto chiaramente, senza possibilità di fraintendere eppure senza volerlo, senza davvero pensare. Spontanea come un colpetto di tosse, è uscità così in libertà la favella: "Ho paura Mik".
Solamente un allenamento in fondo, dei guanti leggeri e tecnici. Però vedere muoversi di fronte un uomo che ha palesemente ancora troppo margine di spinta inquieta. Mi spiego meglio. Capire che quei colpi che già ti fanno male e che già ti spaventano sono una percentuale bassissima del potenziale del tuo partner/avversario, mentre tu stai spingendo a livelli in fin dei conti di poco submassimali, dà un certa vertigine. E' come se il potenziale che si intuisce solamente, fosse percepito come troppo pericoloso per giocarci così, alla leggera.
Poi, a somma di tutto, la sua mole rocciosa e la sua velocità da Ken Shiro.
Solamente un po' di stand up striking per MMA, una sorta di Kick Boxing per capirci tutti, per allenamento. Ma allenamento non è niente se non chiarisce qualcosa.
La mia immaginazione mi suggeriva combinazioni anche complesse eppure lì di fronte quello strano gelo, avevo paura di colpirlo e di essere colpito. Di colpirlo perché, del tutto irrazionalmente e ingenerosamente vista la sua enorme pazienza di insegnante, avrei scatenato colpi per me più forti. Di essere colpito perché come dicevo su, quella macchina da guerra se si sbaglia ti fa male davvero... e quel detto che errare è umano, oppure che "la ciavattata può partire a tutti" non rassicura.
Paura. Beh, in fondo provare a combattere significa provare paura. Provare paura, soprattutto se così nuova, di una tipologia così inconsueta, così difficile da decriptare al punto da doverne scrivere su, significa, mi illudo, crescere marzialmente. Magari non solo. Fosse che poi è vero che qualcosa ti porti via dalla palestra, tolti i paratibia e i guantoni. La porti fuori, ma dentro.
Paura e poi rabbia. Cazzo quanta! Perché prioprio a me? Perché non potevo essere indomito e impavido come i miei eroi? Perché?!?
O forse anche loro prima di combattere avevano paura, prima, ma forse anche durante e dopo.
Ma avranno, i miei eroi, avuto paura anche in un qualche allenamento? Bah, forse no, forse non farò mai quell'incontro che sta diventando un sogno ricorrente. Anzi sicuramente non lo farò mai.
Però cazzo vuoi mettere, ho provato a combattere.
Ho provato a combattere!
Sì, sicuramente non lo farò mai l'incontro (di cosa poi?), però ho provato a combattere, ho provato a superarmi. Non costa nulla provare, solo un po' di dolore alle costole, al fegato, alle cartilagini del naso e a qualche articolazione, e all'orgoglio; che te lo ritrovi di fronte ferito che ti grida "Ho paura Mik" e tu come per eco ripeti.
"Ho paura Mik"
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