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sabato 12 marzo 2011

Provare a combattere... anche meno di così va bene...
Torniamo un po', dopo tanto divagare, all'argomento centrale del sito ovvero il provare a combattere. Questo sito è nato in virtù di alcune considerazioni. Ci sono orde di praticanti, senza offesa per nessuno, che vengono particolarmente dal Kung Fu, da quella parte delle arti marziali giapponesi imbastardita dalla modernità e dal commercio come gli stili di Karate Point o alcuni di Ju Jitsu tradizionale, dai corsi che si prefiggono come base la difesa personale, che effettivamente, in molti casi ma non tutti, non si sono mai concessi scambi liberi delle proprie abilità combattive. Nella stessa maniera ho qui raccontato di molti praticanti, caduti nelle trappole di molte palestre generaliste, che si sono cimentati in corsi di sport da combattimento come la Boxe, la Kick Boxing e via dicendo facendo in realtà un corso di aerobica coi guantoni. Nello stesso modo ci sono persone che pur praticando discipline ove sia possibile confrontarsi sentono negativamente la tensione dell'ambiente, la cattiveria a volte fuori luogo dell'avversario, la cattiva gestione di molti eventi sportivi, un agonismo altissimo fin da livelli parrocchiali. Anche per costoro nasce il sito.
Nella mia esperienza di osservatore e praticante ho visto spesso questo divario, apparentemente incolmabile: da una parte, impavidi, coloro che si confrontano anche duramente, anche a contatto pieno, nelle più svariate discipline e dall'altra le tre tipologie che dicevo, quelli dei corsi tradizionali e della difesa personale, quelli delle palestre dei corsi tipo Fit-MMA e quelli che non si ritrovano nelle attuali formule codificate per il confronto. Entrambe gruppi di marzialisti eppure divisi dal solco dell'esperienza pratica. Persone, dunque, che pur studiando spesso le stesse tenciche, le stesse strategie, le stesse abilità motorie degli agonisti, non hanno in comune l'abilità e la conoscenza del confronto. Questo non accade per una qualche forma di mancanza, di deficienza, ma per pura assenza anche del semplice tentativo di confrontarsi.
C'è da dire poi che l'esasperazione della maggior parte dei contesti sportivi, rende difficile l'approccio ad una forma "istituzionale" di confronto a chi non è più uno spensierato fanciullo neopantentato. Perdere un camion di chili, allenarsi 4, 5, 10 volte a settimana, rimanere in allenamento per un grande periodo dell'anno, far fronte agli inevitabili infortuni, sobbarcarsi le spese degli spostamenti, la spesa degli integratori qualora necessari, il dover cambiare anche abitudini di vita, non è spesso possibile per chi inizia ad avventurarsi oltre i trenta o ancora più, a meno che non si viva di arti marziali o a meno che non si sia iniziato a costruire le qualità necessarie fin da giovanissima età.
Questo solco esperienziale diviene poi grottesco nei casi di quei Sifu o Sensei o Guro o Head Instructors che insegnano senza avere mai avuto esperienze di scambio libero.
Come penso sia chiaro nessuno chiede di vedere sangue o occhi girati, ma semplicemente di avvalersi degli strumenti di sempre più facile reperibilità per proteggersi e trovare piano piano la giusta intensità.
Uno dei motivi per cui sono stato rapito dal Jiu Jitsu brasiliano è proprio questo: la possibilità di confrontarsi, con tecniche spesso di efficacia comprovata, senza dover per forza rinunciare alla propria salute e il potersi confrontare quasi sempre in un ambiente rilassato ma senza per questo risparmiarsi.
Questo quindi è il messaggio: proviamo a colmare il divario tra chi si pesta sul ring o altro e chi ha scelto (o la vita ha scelto per lui) diversa pratica. Proviamo a scovare nei regolamenti, nelle forme di confronto quelle più adatte al nostro scopo.
Come sempre vi invito a contattarmi anche per chi non è di Roma per scambiare le vedute marziali e provare a combattere.