C'è qualcosa di davvero potente ed
evocativo nelle olimpiadi. Basti pensare all'uso che ne hanno fatto i
totalitarismi. All'importanza che attribuiva Hitler ai giochi
olimpici di Berlino del 1936, per i quali commissionò a Leni
Riefenstahl l'epico docufilm Olympia. O si pensi all'Urss: gli atleti
russi erano sconosciuti fino alla guerra fredda e un paese senza una
cultura sportiva divenne di colpo competitore per la vetta del
medagliere olimpico. Si veda oppure la Cina attuale, uno strano paese
ove sono state fatte nefandezze di ogni tipo per organizzare le
Olimpiadi del 2008 e dove le donne autoctone attualmente nuotano più
veloce degli uomini.
Potere del pathos olimpico. Ribalta
anche le leggi di natura.
Divenire uno sport olimpico è un
grande affare politico ed economico e come tale dovrebbe interessare
a due sole categorie di persone: gli affaristi e i politici.
Lo sportivo no, non ne cava nulla dalle
olimpiadi e dall'eventuale inserimento del proprio sport come sport
olimpico.
Le olimpiadi hanno fatto tappa nei peggiori regimi della storia dell'umanità. Nel 1936 a
Berlino, nel 1980 nell'ex Unione Sovietica fresca di invasione dell'Afghanistan, nel 2008 in Cina. Ma
anche i democrazie/regimi immaturi come in Messico nel 1968, ove poco
prima delle olimpiadi furono massacrati e uccisi oltre cinquanta
studenti che scendevano in piazza per protesta politica. O come
accadrà nell'immatura democrazia brasiliana con i giochi del 2016.
Se esiste un regime, un'economia
emergente, un potere forte da supportare, beh, possiamo starne certi:
vi faranno tappa le olimpiadi.
Paradigma del tutto i giochi olimpici
del 1996 ad Atlanta. Il romantico centenario olimpico sarebbe dovuto
spettare di diritto ad Atene. Ma il Comitato Olimpico Internazionale
optò decisamente per Atlanta, dove uno dei più grandi partner
economici delle olimpiadi, la Coca Cola, avrebbe potuto foraggiare i
politici e gli affaristi del CIO (Comité International Olympique
). Gli americani che tornavano dal Golfo per far poi tappa nei
Balcani avevano anche tanto bisogno di un'”operazione simpatia” e
di un buon affare. Per evitare di sganciare bombe per far fronte alla
crisi da sovrapproduzione ciclica niente di meglio che una bella
olimpiade all'insegna della bevanda simbolo del capitalismo Yankee.
Qualcuno vorrebbe farci credere che le
olimpiadi sono una manna per gli sport e si usano diverse
argomentazioni. Una ad esempio è la severità dei controlli olimpici
sul doping. Nulla di più falso. Le olimpiadi sono state e sono il
laboratorio per le cavie umane dei regimi di ogni tipo sotto l'occhio
socchiuso del CIO. Tutti sappiamo oggi delle scuole di “cultura
fisica” dei regimi dell'Est dove gli atleti, indottrinati, privati
della loro personalità e soprattutto pesantemente dopati facevano da
gagliardetto umano per i loschi scopi propagandistici della politica
internazionale. Casi come quello di Andreas Krieger, atleta della DDR
nel lancio del peso diventato uomo in seguito alla somministazione di
anabolizzanti e ormoni maschili o Ute Kraus, nuotatrice, soggetta per
anni a bulimia e depressione per gli stessi motivi. Teneri mostri
creati da autentici mostri. Affaristi e politici.
Basti vedere la nuotatrice cinese metà
donna metà motoscafo Shiwen, di Londra 2012, che nuota più veloce
dei maschietti e il CIO bonaccione non sembra prendere provvedimenti.
Altri sostengono che l'ingresso tra gli
sport olimpici sia una vetrina di cui godranno tutti gli appassionati
degli sport eventualmente ammessi. Falso. I più grandi movimenti
economici sportivi se ne fottono delle olimpiadi come ad esempio il
Calcio, il Basket o la Formula 1 che sono semplicemente tra gli sport
più ricchi del mondo. Le olimpiadi sono uno spettacolo a sé, il
singolo sport semmai viene massificato e generalizzato, omologato in
una generica e falsa logica olimpica per cui ogni sport ha dei valori
comuni. Ci pensa l'italico canoista che fresco di medaglia ci ha
spiegato che gli sport in generale non hanno punti in comune e non si
amano “ nel calcio serve una palla, nel mio sport due”.
Parte seconda
Parte seconda