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lunedì 9 maggio 2011

Paul Vunak, uno che di arti marziali se ne intende davvero, è molto deciso in merito: "E' una triste e comune storia. Una cintura nera battuta in una rissa da una persona marzialmente non istruita"...
In un suo libro, Vunak,  se ne esce così, distruggendo incrollabili certezze, addirittura quella della cintura nera e della relativa abilità combattiva. Purtroppo non ha tutti i torti.
La realtà dell'autodifesa, termine da preferire a difesa personale, non ha niente di paragonabile, nessuna pratica marziale gli si avvicina. Le variabili sono troppe e il fattore sorpresa gioca tutto. Ma le mie opinioni contano zero, non ho veri combattimenti né in strada né in ambienti più comodi. Vediamo quindi di estrapolare qualche informazione sul combattimento reale da chi ne sa più di me e da fatti e misfatti.
Taisen Deshimaru nel suo stupendo saggio "lo Zen e le Arti Marziali" (saggio che certamente i vostri maestri conosceranno... o forse no, ma è lo stesso) scrive: "Le arti marziali non sono teatro, né sport, né spettacolo. Il loro segreto diceva sempre Kodo Sawaki, è che in esse non esiste né vittoria né sconfitta. Non si può né vincere  né essere vinti! Negli sport è diverso perché in essi c'è il tempo per pensare, per decidere, per agire., mentre nelle arti marziali non c'è che l'istante. La vittoria o la non vittoria, la vita o la non vita si decidono nell'istante
... Nell'istante. "Qui ed ora!".
Beh, effettivamente negli sport da ring, è noto; l'incontro si pianifica ed ha poche variabili. Il peso è stabilito, la data è stabilità, la preparazione è stabilita, spesso è noto anche l'avversario, i suoi vizi e le sue virtù. Si compiono gesti rituali che, come per riflessi condizionati, ci preparano. Si prepara il Gi (Kimono) oppure si mettono i guantoni, si stringe la cintura oppure si mette la conchiglia. Tutto è stabilito e pianificato. Non è la realtà della competizione che ci può spaventare perché è nota ma solamente il nostro stato d'animo. Può sorprenderci una certa ansietà o una certa insicurezza. Ma non è la realtà a sembrarci ostile ma è il nostro animo. La realtà è stata pianificata, visualizzata e visionata, predetta, prevista, organizzata.
Quando è la realtà a sorprendere il nostro animo, perché questa, la realtà, ci coglie di sorpresa lì sorgono guai.
Un episodio di cronaca nera, accaduto ad un pugile professionista e affermato ci traghetta nel mondo dell'imprevisto, dell'animo che non ha il tempo (che Deshimaru diceva non esistere nella dimensione marziale) di adeguarsi alla realtà mutevole ed imprevista. Arturo Gatti, campione del mondo di pugilato, viene trovato morto in una stanza di albergo in Brasile. Le circostanze della morte non sono chiare. Sì può solo sapere quello che si era inizialmente ricostruito e che le agenzie italiane hanno battuto. La moglie lo ha prima colpito alla testa con un oggetto contundente per poi strangolarlo con la tracolla della borsa. La polizia brasiliana lo ha catalogato come suicidio ma la madre del pugile afferma che la moglie aveva detto di volerlo uccidere e un suo amico sostiene che sia inverosimile l'ipotesi della polizia. I commentatori su internet osservano l'inadeguatezza della polizia brasiliana e il goffo tentativo di proteggere la moglie, accusata di omicidio altrimenti, anche lei brasiliana.
 Una vita passata a combattere. Poi, di colpo, arriva un avversario che non hai pianificato, vile, meschino, codardo, ti prende magari alle spalle. La realtà non dà il tempo all'animo di adeguarsi ad essa.

Recentemente i mezzi di informazione hanno diffuso la notizia dei quattro giovani, un maggiorenne, due minorenni e una ragazza, che hanno ridotto in fin di vita due carabinieri. Durante un ordinario controllo era stata contestata al maggiorenne la guida in stato di ebrezza. Il giovane e i suoi amici hanno aggredito i militari, pestandoli a sangue, causando lesioni gravissime.
I carabinieri sono dei militari e come tali armati e teoricamente vigili e pronti all'emergenza. Eppure lì e d'improvviso è successo qualcosa che è sfuggito al loro controllo. Gli aggressori a giudicare dall'età sono ancora nell'età dello sviluppo, tra loro una ragazzina.

Ancora una vicenda che coinvolge "la Benemerita"  ci narra di un episodio simile ma con sensibili differenze. Due fratelli, da alcuni giornali indicati come due bruti nerboruti, hanno aggredito due militari che si erano permessi di chiedere loro un documento. Non l'hanno presa bene. Prima gli insulti poi una testata, poi i due carabinieri a terra coperti da calci e pugni. Roma, zona appio-tuscolano, IV Miglio.
Per quanto vigliacco possa essere un attacco, questo è accaduto durante un controllo, e con protagoniste persone che hanno prima iniziato la rissa verbalmente e poi aggredito con la più banale delle testate. Per quanto possa essere stato "traditore" l'aggressore, non proprio una situazione di relax, eppure qualcosa è andato storto.

La realtà dell'aggressione ancora non ha trovato una soluzione in nessun tipo di allenamento marziale che ho visto e meno che mai in sport da combattimento. Non c'è da stupirsi. L'aggressione è una variabile impazzita, è un vespone entrato in camera. Può toccarci come non farlo, ma non si può controllare del tutto.
Avevo scritto che autodifesa è un termine che preferisco a difesa personale. Deve essere chiaro fin dalla terminologia che la capacità di difendersi qualora possibile e allenabile sia qualcosa di intrinseco, interno a noi.  "auto" prefissoide che indica sé stesso ci chiarisce che tutto deve scaturire da capacità acquisite. Difesa personale si contrappone, invece, alla difesa di beni materiali, o alla difesa giuridica e quant'altro. Girare con due bodyguard può essere per difesa personale, ma non è per autodifesa perché c'è l'elemento che esula dal soggetto che intende difendersi, ovvero le due guardie del corpo. In mancanza di soluzioni, che magari cercheremo in seguito, non posso che offrirvi questi capziosi cavilli linguistici. L'importante è che sia chiara una cosa, un concetto che dà anche il titolo di un paragrafo del libro di Paul Vunak col quale ho aperto.
Combattimento reale? Non esiste nulla di paragonabile in quello che facciamo in palestra.



Come diceva lo scrittore Giuseppe Berto se c'è qualcosa che ci può salvare questa è l'ironia. E Bus Rutten ne ha davvero e di pregevole fattura.