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sabato 9 aprile 2011

Geoff Thompson è un battafuori americano e marzialista. Autore del pregevole libro "l'arte di combattere senza combattere" è considerato un esponente di spicco degli studiosi della marzialità legata a situazioni reali. Introduce il suo libro, di cui scriverò più diffusamente, con una storia molto suggestiva, pregna di spunti e riflessioni.
Uno dei più grossi nemici del marzialista è l'orgoglio. Si sente chiamato a provare la sua arte anche fuori da contesti idonei, per dimostrare e dimostrarsi l'efficacia della sua pratica e della sua persona marziale. La storiella che leggerete è un'autentica sintesi dei vizi e delle virtù del marzialismo.
C’era una volta un famoso Aikidoka in Giappone che passava gran parte della sua vita a studiare la leggendaria arte di Ueshiba. Ma, pur dedicando la sua esistenza a tale arte, non aveva mai avuto la possibilità di metterla in pratica in una situazione reale, in un confronto con un aggressore deciso a fargli del male. L’Aikidoka aveva i suoi principi: egli sapeva che avrebbe creato del karma negativo se fosse andato deliberatamente a cercare una rissa al solo scopo di mettere alla prova le tecniche di Aikido. Pertanto doveva attendere che l’opportunità si presentasse. Ingenuo come era, egli non desiderava altro che di essere aggredito. Così avrebbe potuto dimostrare che la sua arte era potente non solo all’interno ma anche all’esterno dell’ambiente sicuro del Dojo. Più si allenava e più cresceva il suo bisogno di convalidare le conoscenze acquisite. Un giorno, mentre tornava a casa in treno, si presentò finalmente una situazione potenziale: un uomo ubriaco ed estremamente aggressivo salì sul treno e prese subito ad insultare gli altri passeggeri. “Ci siamo”, si disse l’Aikidoka, “questo il momento di dimostrare l’efficacia della mia arte”. Egli rimase seduto in attesa che l’ubriaco si avvicinasse. L’incontro pareva inevitabile perché l’uomo, avanzando lungo il corridoio, stava gridando insulti in faccia ad ogni passeggero. Man mano che si avvicinava urlava sempre più forte e diventava sempre più offensivo. Nessuno dei passeggeri osava neppure alzare la testa per il timore di essere picchiato. Eppure il nostro bravo Aikidoka non vedeva l’ora che toccasse a lui, di essere insultato. Avrebbe fatto vedere a se stesso, e a tutti, la validità dell’Aikido. L’ubriaco gli era quasi addosso: egli si preparò ad un combattimento all’ultimo sangue. Ma proprio mentre l’Aikidoka si accingeva a balzare in piedi, il passeggero nel sedile davanti al suo si alzò improvvisamente e salutò l’ubriaco in modo amichevole. “Ehi amico, cosa c’è che non va? Hai bevuto tutto il giorno al bar, vero? Sembri un uomo con dei problemi – dai, siediti vicino a me e racconta. Qui nessuno vuole prendersi a pugni”. L’Aikidoka guardava stupefatto mentre il passeggero, con immenso tatto e non poca furbizia, convinceva l’ubriaco a sedersi e a calmarsi. Entro pochi attimi questi stava parlando di tutti i suoi guai, si sgravava il cuore, con le lacrime che gli scendevano lungo tutto il viso. L’Aikidoka pensò “Questo è Aikido”. Capì in quel preciso istante che l’uomo con il braccio attorno alle spalle di quel disperato stava dimostrando l’Arte Marziale nella sua forma più alta.