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martedì 22 febbraio 2011

Come si vede dall'esterno il maestro di arti marziali
Una concezione che potremmo dire, impropriamente, romantica, probabilmente frutto di un'idealizzazione di alcuni miti orientali, porta a vedere alla figura del maestro di arti marziali come una sorta di sacerdote laico, maestro di tecnica bellica e di vita. Allievi d'ogni età dunque, circuiti forse da questa visione preconcetta, si trovano ad imitare, scimmiottare il maestro a tutto tondo. Il maestro quindi diviene Maestro e la maiuscola amplia notevolmente i suoi campi di azione. Gli allievi ne assorbono movenze, gusti, ideali, idee politiche, filosofia di vita, locuzioni, espressioni ricorrenti e stilemi vari. Anche quando il maestro è fuori dal dojo pretende lo stesso rispetto che, neanche troppo per scontato, gli si deve nel luogo ove egli di fatto è mentore. Diviene quindi, senza letture o studi, filosofo anche se alla seconda subordinata si inabissa in dubbie coniugazioni verbali, e Socrate gli pare un giocatore della fiorentina degli anni ottanta. Dispensa esoterismi e massime, conosce il bene e il male. In alcuni corsi addirittura riesce ipnoticamente a deviare gli studi sui suoi interessi peculiari. Per esempio un corso di un'arte marziale a caso a poco a poco diventa un tacito laboratorio delle sue teorie. Niente di male, se solo fosse esplicito però. Persone che si erano iscritte in palestra per difendersi, magari, si trovano ora ad impazzirsi sulle forme che fatte dal maestro diventano più che forme curve di coniglietta di playboy. Oppure si trovano ad appassionarsi a discipline che non sono propriamente quelle del corso. Il maestro di Thai Boxe, che magari è un appassionato di MMA, riesce a far sì che tutti i suoi allievi si sentano provetti valetudisti, non si sa bene perché, ma come per osmosi l'hobby del maestro passa ai discepoli. Il maestro poi diviene inevitabilmente esperto di anatomia. Dispensa consigli su esercizi, vede un suo allievo infortunato e ne fa accurata diagnosi. Non sa nemmeno dove sia l'omero o il radio ma è maestro. Molto prosaicamente, nella relatà, alcuni di questi maestri mi hanno anche crepato soldi e tempo e alle mie rimostranze non si sono lanciati in sonetti o haiku ma in triviali vaffanculo. In quei frangenti ho faticato a non vederli come tutti gli esseri umani, un po' eroi, un po' sterco.
Quando poi il maestro diviene canuto allora l'abito fa il monaco e il gioco è ancora più facile. Orde di discepoli ne seguono le gesta, partono slogan e abracadabra vari. Quando te lo ritrovi a mangiare con gli adepti mangia come tutti noi umani e si sporca la camicia come un fanciullo, sbava e aggiusta di diaframma la digestione. Come tutti gli uomini lancia sguardi indiscreti sui glutei delle virgulte eppure rimane anche fuori dal tatami, maestro. Pretende lo stesso rispetto anche se lo chiami per informazioni, quando, senza nessuna filiazione, è per te un illustre sconosciuto a cui dare del lei: se non lo chiami maestro, sensibilmente, rosica.
Purtroppo nella vita di noi materialisti è già difficile conoscere una qualche abilità motoria detta marziale... sapere anche sulla vita poi, neanche a pensarci.