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sabato 9 aprile 2011

Quando ero adolescente, come capita a molti, avevo grandi progetti per l'umanità e fomenti politici d'altri tempi. Avevo sviluppato, proprio per questo mio attivismo, un senso della giustizia, o quantomeno una mia etica, che mi riempiva di orgoglio perché la vedevo spesso latitare nei miei coetanei. In quel preciso periodo dell'episodio che sto per raccontare, non praticavo arti marziali né effettuavo il mio tipico allenamento casalingo, che eppure aveva caratterizzato la prima fase della mia pubertà. Avevo ben altri progetti in quel periodo. Il pensiero di dovermi difendere era più legato a situazioni politiche che a quelle comuni. Trascuravo anche la mia preparazione fisica. Ero troppo impegnato a parlare come chi avesse ingurgitato un vocabolario e a scrivere articoli e articolini per improbabili giornalini dai contenuti velleitari.
Frequentavo il liceo e come capita un po' a tutti c'era in classe con me un ragazzo che incarnava alla perfezione il cliché del bullo. Strillava, raccontava balle inaudite, importunava tutti. Si percepiva la sua presenza a diverse decine di metri perché doveva, col suo rumoreggiare, marcare il territorio come fanno gli animali. Purtroppo nella stessa classe vi era un ragazzo con un lieve ritardo psichico. Non so esattamente quali problemi avesse. So solo che era innocuo, che era buono ed era divertente farlo ridere perché aveva una risata buffissima che era contagiosa. Il bullo lo maltrattava giornalmente, trovando sempre il modo per dargli fastidio e fargli prepotenze.
Eravamo nel cortile della scuola quel giorno, forse era ricreazione, o forse no perché c'era tutta la classe vicina senza le altre, forse era la fine dell'ora di educazione fisica ma non ha importanza. Il bullo iniziò il suo solito show su questo povero ragazzo con i soliti insulti, giochi maneschi e provocazioni. Tutti ridevano. Qualcosa d'improvviso degenerò e iniziò a prenderlo a schiaffi di brutto. Il ragazzo che subiva queste ignobili angherie urlava, non ricordo che cosa dicesse, ricordo solo che urlava con un tono di voce nuovo per noi, per me, un tono di voce che non avevo mai sentito da lui. La rabbia gli aveva fatto cambiare voce e gridando provava a fiaccare l'imbecillità umana. Ricordo che mentre tutti ridevano mi avvicinavo... volevo fare qualcosa. Ero in una posizione particolare non ero nel mucchio degli spettatori e non ero esattamente tra i due litiganti. Forse ho biascicato qualcosa tipo "lascialo stare" o cose simili. La scenetta finì, il pubblico si sparse, il bullo prese la via della classe. Sebbene avessi avuto il tempo e il modo di farlo non riuscivo a capire perché non ero intervenuto. Sarà stata forse la paura che quella abietta persona in fondo faceva anche a me. Ci rimasi molto male e più di tutto rimasi male del mio comportamento stesso. Avevo in bocca grandi parole, grandi ideali eppure non ero riuscito a disgregarmi realmente dalla massa di codardi che aveva assistito alla scena. Avevo solo fatto qualche passo avanti e detto qualche parola.
A distanza di più di una dozzina di anni, il dolore per quell'episodio è ancora vivido. Ancora il ricordo delle urla del povero ragazzo disagiato mi stringe lo stomaco e mie riempie di vergogna per me stesso e compassione per lui. Mi sono detto per anni che avrei dovuto saltare addosso al bullo perché comunque fosse andata avrei riportato comunque meno traumi di quanti ne riportò il povero ragazzo e sicuramente non avrei potuto soccombere come il suo essere inerme. Di lì in poi ho cercato di rifarmi, di cercare di non fare più finta di niente di fronte a scene simili e soprattutto di prestare sempre soccorso laddove fosse possibile.
Provare a combattere per gli altri credo che sia la massima espressione di qualsiasi forma di sentimento circa la giustizia umana.
Benché nel corso degli anni, anche grazie ai corsi di primo soccorso che ho frequentato, abbia prestato soccorso a diverse persone e forse addirittura salvato la vita di una di queste, benché quando possibile ho sempre partecipato attivamente ad aiutare le forze di Pubblica Sicurezza per varie vicissitudini che magari un'altra volta racconterò, il dispiacere e il dolore per quell'episodio è ancora vivo e forte in me. Forse più di altri che mi hanno toccato in prima persona.