martedì 27 dicembre 2011

Try To Fight! Memorandum

Try to fight! nacque prima di tutto avendo chiaro quello che non doveva essere: non doveva avere fini commerciali, non doveva essere il sito di un fan di una singola disciplina, non doveva essere uno sterile notiziario e non doveva essere uno dei tanti diari personali della rete. Unico dovere: doveva avere rispetto per tutte le discipline marziali.
Chiarito quello che non doveva essere, mossi le prime righe da alcune mie considerazioni sugli sport da combattimento e sulle arti marziali, considerazioni che credevo e credo condivise, magari anche segretamente, da molti.
Posso sintetizzare il pensiero fondamentale così: Nelle discipline marziali e negli sport da combattimento ci sono persone che non combattono affatto e c'è tutto un mondo di persone che si fa bello di una marzialità parolaia, in realtà mai provata e mai messa in discussione. Sia chiaro, non alludo solamente ad alcuni praticanti di arti marziali ultra-tradizionali o di difesa personale ma anche a tutti quei praticanti di alcuni sport da combattimento che non fanno altro che fare sacco e figure nelle maxi-palestre dei mega centri fitness generalisti. Ne ho scritto ad esempio nell'articolo “iscriversi in palestra per provare a combattere”.
Dall'altra parte invece ci sono coloro che se le dànno di santa ragione, professionisti o agonisti, persone sopra la norma, combattivamente parlando, persone fuori dal comune con corpo, coraggio, sprezzo del dolore, stile di vita, assolutamente inadottabili come modello.
Paradigmatica della società italica la situazione marziale: due opposti estremismi. Entrambe faziosi, convinti di possedere la verità quella vera, ma vera davvero, entrambe sprezzanti vicendevolmente.
Partendo da questa considerazione mi venne da pensare che c'erano un mucchio di persone, me incluso, che non si rispecchiavano né nell'uno né nell'altro schieramento. Persone che semplicemente bramosi di provare a combattere non si trovavano bene con i primi per mancanza assoluta di combattimento e stentavano a mantenere il ritmo dei secondi, così distanti dagli uomini comuni con umani giorni storti, mogli, compagne e ragazze rompi palle, lavoro, serrande da alzare e abbassare, vita sociale, faccia da dover presentare intatta a lavoro.
Ora, se i primi rifiutavano la logica del provare a combattere i secondi, mi ripeto, erano obiettivamente un modello inarrivabile, vuoi anche solo per età (non tutti iniziano l'agonismo a sedici anni per esempio), per impegni del quotidiano.
Nel mezzo persone comuni dunque, praticanti, ora vilipesi come uomini da dogmi, abracadabra, rituali, gerarchie, ora ridimensionati dalla partecipazione a mondi marziali dove sono presenti veri e propri superman.
La prima idea che mi venne fu quella di iniziare pian piano a caricare video, ove mostravo le ordinarie prove di combattimento di un uomo ordinario. Niente di spettacolare effettivamente, anzi spettacolare doveva essere proprio vedere una persona normale confrontarsi in un contesto informale. Un po' come nell'intento originario dei reality show (prima di perdersi negli abissi) lo “spettacolo” doveva venire proprio dall'osservazione della persona qualunque che nel mondo dei fenomeni diventa per contro spettacolare eccezione. Ovviamente i combattimenti non dovevano essere monotematici, altrimenti sarebbe bastato vedere una gara parrocchiale di qualsiasi disciplina, dovevano mostrare persone che si provavano in diversi regolamenti, in diverse abilità e anche in regolamenti inesistenti creati ad hoc per confrontarsi semplicemente. Nell'intento originario infatti dovevo spaziare dal combattimento armato a degli pseudo sparring di MMA, per capirci. Mostrare dunque che per provare a combattere non bisogna essere degli specialisti, se si vogliono prendere due guantoni anche se non si pratica di fatto pugilato puro, possiamo provare grandi e nuove sensazioni semplicemente confrontandoci liberamente. Le protezioni al giorno d'oggi sono tante e di ogni tipo e di ottima fattura. Scuse non ce ne sono. Mentre mi muovevo in questa direzione sono accadute diverse cose che mi hanno destabilizzato dall'intento originario. Prima su tutte l'aumento imprevisto delle visite di questo sito. Nel vedere salire le visite mi sentivo semplicemente in imbarazzo, perché molti video sono bellamente ridanciani e non volevo essere preso per qualcuno che aveva la faccia tosta di pretendere di insegnare qualcosa. L'aumento del pubblico quindi mi ha in un primo tempo frenato. Dall'altra parte la nascita quasi contemporanea di diverse iniziative tese a rendere fruibili a più praticanti le MMA che hanno mostrato persone se non proprio normali comunque non supereroi, dilettarsi nel combattimento. E' vero che le MMA erano solo una parte dei tipi di sparring suggeriti dal sito, però comunque sentivo che parte della novità era persa, le gabbie si erano distese ed erano diventate tatami o materassine, quindi nel complesso tutto era diventato più noto e di facile fruizione.
Senza nessuna pretesa di messianicità volevo mostrare semplicemente che provare a combattere non costa nulla, lo si può fare anche nella comodità dell'ambiente domestico, con le dovute precauzioni.
Cambiando il tiro, per i suddetti motivi in particolar modo, ho lasciato alle chiare lettere le mie idee, per cui ho iniziato a scrivere che l'agonismo non è necessario  se si vuole veramente provare a combattere (e che non essere agonista non può essere una scusa per non combattere affatto), anzi, proprio chi vuole provarsi in varie abilità avrà più comodità nel farlo informalmente che in eventi riconosciuti che richiedono un alto grado di specializzazione. Alcuni, non ho mai capito se per malizia, difficoltà di lettura, corna o altro hanno voluto intendere (fraintendere) che io fossi contrario all'agonismo e che pertanto fossi contrario al confronto. Niente di più sbagliato. In primo luogo io mi auguro di trovare quella serenità necessaria per gareggiare, desidero farlo. Tant'è che ho preso parte ad un evento della WFC di Franco Scorrano e alla Salento Open Cup. Comparsate intendiamoci, niente più, solo per dire che non ho nessun pregiudizio verso l'agonismo. In secondo luogo devo dire che nell'ultimo anno solare mi sono confrontato in una marea di regolamenti, prendendo una valanga di botte, spaziando, tanto per dire, dal boxe al Karate a contatto pieno, dal Grappling al BJJ. Qualcuna è stata una fugace esperienza, altre no. Sempre un minimo comun denominatore però: ho combattuto, e in certi casi lo ho anche espressamente chiesto e, ohimé, ottenuto.
Fraintendimenti dicevamo. Sempre per non fraintenderci sarei lieto che i nostri agonisti dei più disparati campi dicessero apertamente che l'agonismo richiedo sforzi talvolta al limite dell'eroismo. Farsi minestroni lassativi, saune, dieta low carb, dormire otto ore a notte, allenarsi 6 giorni a settimana a volte anche due volte al giorno, fare lunghi viaggi alla ricerca di sperduti palazzetti dello sport, tornare a lavoro il giorno dopo abbozzati non è per tutti. Mi dispiace ma dobbiamo essere onesti e dire che alcuni ritmi non sono per tutti. Bene, io non voglio togliere il minestrone lassativo a nessuno! Che ciascuno si faccia le gare che si merita, sono felice e un giorno, giuro, anziché fare comparsate sarò più presente! Però, come da obiettivo originario, non possiamo scordarci la pratica dell'uomo comune, quello che alcuni impegni non li può prendere o quello sempre un po' infortunato perché madre natura o il fato non lo ha fatto performante come voi che siete delle Forumla 1. Volevo far solo notare questo con alcuni scritti. Visto che, ad esempio, mi arrivano visite di persone che hanno cercato su google “iniziare Jiu Jitsu brasiliano a 40 anni”, mi piacerebbe che costoro sapessero che si può e che tutti quegli impegni necessari per essere un agonista vero e non per andare a fare una gita fuori porta, non sono necessari, basta, semplicemente, magicamente, confrontarsi e scegliersi il corso adatto con le persone adatte. Ci sono medioman che non reggono il ritmo dei superman e ovviamente non parlo di bjj, era solo un esempio. Vale anche per le MMA. Non tutti hanno il beato coraggio di entrare in una gabbia e pestarsi, ma a qualcuno può far piacere provare le abilità che hanno questi impavidi, che oggettivamente sono fuori dalla norma. Provare a combattere dunque voleva dire “il combattimento è un'esperienza formativa, bella, sana, non preoccuparti se il mondo marziale sembra bipartito tra persone che non si confrontano neanche se gli righi la macchina e supereroi privi di calzamaglia, non ti preoccupare se ci impegniamo troviamo spazio anche per noi, per noi che vogliamo provare a combattere”.

sabato 24 dicembre 2011

Lo sbirro e la dirty boxing

Un eccezionale video scovato sul tubo ci mostra un poliziotto alle prese con rissoso criminale che non si sottrae all'arresto. Ne consegue un fitto scambio di colpi. Il poliziotto sembra accettare di buon grado il livello di scontro suggerito dal malvivente. Sfoggiando una boxe stradale di tutto rispetto e di ottima tecnica si avvale di coperture, calci in linea bassa, gomitate tipici di diversi stili del sud-est asiatico. Il primo colpo che sferra è una difesa con attacco simultaneo. Particolarmente affascinanti due tecniche di rapido controllo cervicale: la prima che è quella che guida alla ginocchiata e la seconda tra il secondo 15 e 16 quando con la mano sinistra a coltello controlla la risalita del busto dell'avversario. Difficile identificare di quale preparazione marziale si avvalga, certo è che questa sia presente.

mercoledì 14 dicembre 2011

La macchina imperfetta

Di Salvatore Manzella:
Molti sostengono il corpo umano sia una macchina perfetta (per certi versi di fatti lo è, non potremmo dire l'opposto) personalmente al contrario e per il tema che analizzerò nel post, sostengo anche in maniera velatamente provocatoria questo sia una macchina imperfetta e ad essa bisogna far calzare sovente la pratica o meglio veicolare quest'ultima in rimessa di qualcosa che incontrovertibilmente non è permanentemente efficiente al 100%, non resta nel tempo in forma immutata al TOP e parlo proprio in termini empirici, 1 minuto prima stai bene, il secondo dopo c'è qualche mutazione (vedi sotto stress, uno dei tanti fattori modificanti) per cui non sei più nella condizione del minuto precedente e così via.
A tal proposito evidenzio che una pratica totalmente e globalmente incentrata sull'efficienza di questa macchina (efficienza che di fatto è effimera quanto verosimile) è una pratica parziale se non fuorviante così come altre; è impensabile che l'arte - marziale - funzioni solo ed esclusivamente nella più completa efficienza, nel più splendido dei piani di lavoro e dove il termine maggiorativo del "più" farà in larga misura il risultato vincente ergo sono più veloce di te dunque vinco la staffetta (passatemi il paragone con la corsa) ancora, la velocità è qualcosa di effimero, perdibile (difficilmente acquisibile) quindi l'intelligenza è capire come avere la meglio ma essendo non il più veloce (ho preso la velocità solo come esempio, dovete aguzzare la mente ed estendere questo ragionamento a tutti i parametri) ma colui che possiede a priori la strategia e/o il principio migliore che può mettermi in qualsiasi momento e soprattutto durante quello dell'inferiorità (anche situazionale 100% dei casi di un'aggressione) in serie condizioni di poter avere la meglio.
Il nostro corpo - non mi riferisco ad infortuni e simili (anche se da un infortunio ho capito molto e mi sto elevando realisticamente verso un aspetto più fine dell'arte) -non sarà mai - e ribadisco il MAI- di continuo nella sua più eccelsa efficienza ergo tutti quei sistemi che fondano la loro utilità ed efficienza appoggiandosi a pratiche fisiche prima o poi condurranno alla fine, una fine triste ed inesorabile; durante le 24 ore sono più i momenti in cui siamo "meno" che quelli in cui siamo "più", i secondi, i minuti, le ore, i giorni sono fluttuanti e a nostro totale SVANTAGGIO dunque più passa il tempo più peggioriamo è un dato di fatto che non possiamo cambiare quindi non possiamo far si che la nostra marzialità e l'efficienza ad essa connessa sia direttamente proporzionale a fattori allenabili ma che la natura di fatto ci toglie inesorabilmente, vuoi per l'età, vuoi per un banalissimo o serissimo infortunio e così via.
Un'arte fluida è un'arte che ti permette di poterla esprimere al 100% anche nell'impossibilità di farlo(e proprio perchè già alla base non fonda la sua efficenza sull'efficienza del corpo stesso, un'efficienza che ribadisco è biologicamente a perdere o su fattori atletici), non posso pensare che laddove abbia banalmente un'unghia del piede incarnita (problema poco serio rispetto ad altri) debba fermarmi mesi o addirittura condizionare in toto la possibilità che io possa difendermi efficacemente in un'aggressione.
Che sia chiaro, non sto spingendo nessuno a sottoallenarsi, sono il primo che nei tempi migliori ho penato anche 4/5 ore al giorno in più split organizzati quotidianamente e settimanalmente, ciò che voglio dire è che la pratica marziale che riveste solo o soprattutto l'aspetto YANG è fuorviante, il mio suggerimento ultimo è di spingere la vostra pratica verso una condizione equilibrata YIN/YANG, queste mie parole potranno con grossissima facilità sembrare scontate e venir fraintese ed è esattamente quello che mi aspetto ma un giorno, spero il più lontano possibile, basterà una infinitesimale (al negativo) mutazione, vuoi accidentale vuoi per il natural vivere, che la luce pervaderà la vostra pratica ed il modo in cui la concepite e vi renderete conto, contrariamente al pensato, di aver trascurato qualcosa che non conosce danni, non conosce tempo, non conosce età, non conosce mutazioni biologiche al negativo, non conosce l'esser meno, ciò che voglio battezzare come "il senz'età marziale" insomma in sintesi curate il TAO, usate la testa, non emulate, praticate e cercate di essere la via dell'equilibrio "marziale", non esiste solo l'attacco ma anche la difesa così come non esiste solo il giorno ma anche la notte, i migliori maestri di voi stessi siete voi, la vita e le esperienze a questa connesse.

L'articolo è stato redatto da Salvatore Manzella, esperto, praticante, divulgatore, appassionato di Jeet Kune Do. Spero di poter ospitare Salvatore nuovamente su queste pagine per delinearne meglio il grande lavoro marziale che svolge e se volete potete seguirlo sul Forum da lui ideato e gestito, http://jeetkunedo.forumcommunity.net/.
La "macchina imperfetta" è stata spesso oggetto dei nostri discorsi appassionati sulle arti marziali.
Ho avuto fin dalla prima adolescenza assillanti problemi ortopedici che mi hanno pesantemente limitato in diversi momenti della vita e che ad oggi non sono ancora assenti. Grazie a queste tribolazioni ho colto l'opportunità che dànno le arti marziali morbide e le pratiche multifattoriali, sempre marziali, volte alla conoscenza delle esperienze motorie, alla ricerca di una corretta respirazione (corretta sia per la concezione orientale sia per quella occidentale scientifica!), alle strategie per non cotrapporre forza alla forza, pratiche volte alla scoperta dell'economia di movimento, alla razionalizzazione delle energie e del corpo, alla costruzione di geometrie corporee vantaggiose per chi non può garantirsi sempre la forza.
Kronos, dio e titano del Tempo
Salvatore è stato vittima di un terribile incidente stradale, uno di quegli incidenti per cui tante persone muoiono e lui sa di essere fortunato a non essere rientrato nel triste novero di costoro. L'immobilità forzata, la sofferenza del corpo, la sofferenza della psiche, il dolore come costante giornaliera, il disiderio di ritornare efficienti come prima, sono emozioni ed esperienze che non posso non far maturare una riflessione diversa sulla propria vita. La consapevolezza della caducità delle nostre grazie anatomiche paradossalmente proprio nel mondo dell'usa e getta sembra persa. Il tabù del terzo millennio è la morte e la vecchiaia.
Alcune esperienze, necessariamente negative, ci portano però ad infrangere questo tabù, ed al mito del giovanilismo, dell'atletismo, dell'efficienza sempre, comunque e dovunque possiamo sostituire il pensiero della preservazione e del giusto uso.
Io penso e credo, anche se so che oggi questo pensiero non è di gran moda, che le arti marziali e i marzialisti non debbano mai abbandonare la ricerca della morbidezza, della tecnica contro la durezza e la forza. La forza perdura una sola stagione della vita, nella migliore delle ipotesi. La tecnica e la morbidezza possono accompagnarci sempre.
Non è un discorso alla portata di tutti e non lo dico per snobismo, forse servono determinate esperienze, e sia chiaro, negative, che ci fanno capire il senso di alcune pratiche e alcune finalità di queste.

giovedì 8 dicembre 2011

Jiu Jitsu nel 1943

Proiezioni, chiavi articolari, lotta a terra, difesa personale, guardia chiusa e spider, triangolo e doppia nelson nel 1943 alle Hawaii nella scuola del Sensei Okazaki. Il piccolo arcipelago statunitense è stato metà dell'emigrazione giapponese già dal 1800. Non a caso nelle Hawaii si sono sviluppati, in forma praticamente autoctona, Kempo, Ju Jitsu, Kajukembo.
Il prezioso filmato e sotto link per saltare l'introduzione.



Per i più pigri saltiamo alcune parti e vediamo i punti salienti. Proiezioni con finalizzazione al suolo:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D4TwskOBYzE#t=334s

Guardia chiusa seguita forse da ghigliottina
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D4TwskOBYzE#t=408s

Una proto-Spider Guard
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D4TwskOBYzE#t=428s

Morote gari
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D4TwskOBYzE#t=536s

Triangle Choke
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=D4TwskOBYzE#t=358s

Articolo su un testo di Jiu Jitsu in italiano del 1929
http://www.trytofight.com/2011/01/il-jiu-jitsu-in-italia-nel-1929.html

Il circolo dei cazzari

Uno dei messaggi che più mi piacerebbe dare attraverso queste pagine è il rispetto tra le diverse arti marziali e i diversi praticanti. Senza essere inutilmente ipocriti dobbiamo riconoscere che troppo spesso nei più disparati ambiti marziali e di combattimento si fa uso del dileggio, della derisione, del sorrisino ironico, dello scherno, dell'irriverenza verso discipline diverse dalle proprie. Troppo spesso senza perdere troppo tempo a capire che ogni disciplina marziale ha una sua precipua finalità, un suo preciso range d'uso, una sua precisa ragione d'essere, dalla bonaria irriverenza si passa all'offesa, alla calunnia, allo scredito, alla diffamazione, alla volgarità. Persone che in fondo sono colleghi, appassionati della stessa materia, degli stessi motivi di fondo della pratica, si dividono, e con le suddette maniere, si ledono vicendevolmente. Dalle inutili chiacchiere su chi è più efficace fino al turpiloquio. Ecco allora, con un brivido di disgusto e di vergogna perché probabilmente anche io ne ho fatto colpevolmente parte per volontà o per connivenza, qualcosa che definirei il circolo dei cazzari.
Proverò ad esemplificarlo, il circolo dei cazzari. I maestri delle arti marziali “interne”, energetiche, esoteriche, meditative, laddove respirare correttamente è una severa arte sono cazzari per gli altri tradizionalisti un po' più vivaci e saltellanti, che scalciano, saltellano e fanno esplodere i loro corpi negli abiti tradizionali per avere quel meraviglioso feed back auditivo che è lo scroscio del Gi (kimono). Per coloro che si dedicano ad attività non tradizionali, moderne, dedite allo scontro reale, alla difesa personale i vivaci e saltellanti tradizionalisti sono dei cazzari obsoleti, che dedicano tempo a pratiche irreali, anacronistiche, ritualizzate ed inutili in un confronto reale. Questi ultimi per coloro che si cimentano amatorialmente nello sparring, di qualsiasi disciplina sia, sono degli abili coreografi, dei creatori di scenari falsi che si trincerano dietro il combattimento reale per non combattere affatto. Per gli agonisti, forti delle loro gare e dei loro riconoscimenti, lusingati dalla prova dei fatti sportiva, chi non si cimenta nell'agone del gareggiare e del darsele non per allenamento ma per vincere, semplicemente non è un guerriero, è un praticante di serie B, un bimbo che gioca, ma gioca solamente, al gioco dei grandi. Per quanti combattono pesantemente, sputando magari sangue dalla bocca ed espirandone, gli agonisti di talune discipline, sono, con tutta l'ironia possibile, dei bravi “atleti” che, sì, sì si impegnano ma non sono paragonabili a chi si porta a casa il viso diverso da come da casa era uscito, non sono guerrieri, no, neanche loro. Per chi ha accesso ai riflettori, alle riviste, ai fasti delle lingue carezzevoli dei cortigiani, ai palazzetti dello sport tutti per loro e il loro incontro, per chi è internazionalmente noto per le sue gesta, quelli della faccia pesta hanno un bel coraggio a parlare dei loro visi, perché loro, e non gli altri, non sanno neanche se portano a casa la pelle, per loro combattere è una professione. Per i maestri della marzialità interna, energetica, respiratoria, esoterica e meditativa queste star sono cazzari dall'ego esorbitante e dai problemi affettivi irrisolti che li portano a picchiarsi per l'effimera gloria perché a questi, dicono, non rimarranno che laceranti ferite, a questi non rimarrà nulla della loro pratica che sarà, nel contesto dell'esistenza, della durata di una fiamma di cerino; cazzari dunque, perché la marzialità non ha bisogno di prove impossibili a dimostrarsi, chi vuol dimostrare qualcosa usi la fisica o la matematica, non le arti marziali che hanno come basi l'uomo.
Il circolo dei cazzari si chiude così, anche se in verità potremmo percorrerlo al contrario, perché non solo i primi citati dànno infine dei cazzari agli ultimi, ma nei vari livelli si dà dei cazzari a quelli dei livelli precedenti ma anche successivi, perché, regola aurea del circolo, nessuno ha realmente rispetto di nessuno.
C'era un modo di dire, una battuta, che rende bene l'idea della situazione e riguardava le nostre abitudini italiche alla guida: chi va più piano di noi è un rincoglionito, chi va più veloce è un irresponsabile figlio di puttana.
Molti sono preoccupati di quando evolveranno, per esempio, di cintura. Io sono preoccupato di quando questi e me medesimo evolveremo come uomini.
E tu a chi dài del cazzaro?
… O se preferisci: Tu che cazzaro sei?

martedì 6 dicembre 2011

Intervista a Max De Michelis

Ci sono persone la cui personalità è talmente inusuale da spiccare anche attraverso le lettere, le espressioni in foto o i pixel. Non conosco di persona Max De Michelis ma posso facilmente immaginare una persona dalla favella colta e gradevole, affabile e gentile, una persona dai modi garbati, un praticante serio, enciclopedico e con spirito marziale. Devo qui, simpaticamente, essere in disaccordo con un passaggio dell'intervista di Max: l'etimologia, come sanno gli aspiranti letterati/glottologi come me, tradisce quasi sempre il significato d'uso di un termine. Max è un animo marziale nell'accezione d'uso odierno ovvero uno studioso del confronto umano, ricercatore della gentilezza dei muscoli, filologo amoroso di vita e gesta di coloro che reputa padri marziali, animo che si confronta ma non si scontra.
Il suo blog (http://maxbjj.blogspot.com/) è un pensatoio di socratica memoria ove entrare per cercare un pregevole distillato di pensiero, che lasciato a decantare, assume giorno dopo giorno aromi nuovi: articoli che non temono l'inattualità e che si fondono con l'evoluzione dell'ambiente del Jiu Jitsu.

L'intervista.

Ciao Max, parlaci un po' di te, della tua vita marziale e non, presentati per gli amici di Try To Fight! che non ti conoscono.

Ciao a tutti, mi chiamo Max De Michelis, ho 42 anni e pratico il Bjj da più di 10 anni e attualmente sono cintura viola, Rio Grappling Club, sotto il maestro Roberto Atalla. Ho praticato karate per qualche anno e poi da autodidatta jkd e kali. Oggi mi alleno alla palestra Popeye di Livorno, dove insegna la cintura nera Bernardo Serrini. Il mio percorso marziale, per motivi di lavoro, subisce anche lunghi periodi di fermo ma questo non fa che aumentare la mia voglia di migliorare e recuperare quando ho più tempo libero.

Come mai hai deciso di aprire un sito/blog?

Avevo incominciato a postare su facebook alcuni video e qualche considerazione tecnica che ha suscitato l'interesse tra i miei contatti. L'idea di realizzare post più strutturati mi ha spinto ad aprire il Blog.

E' sempre facile essere un editore/blogger oppure a volte arrivano difficoltà? La gente si aspetta performance differenti da una persona con un sito con contenuti profondamente tecnici e didattici come il tuo? Come vivi l'esposizione nel web?

L'unica difficoltà è trovare il tempo per fare le ricerche per i miei lavori, ma lo scrivere su un argomento che mi appassiona, mi aiuta a trovare lo voglia per realizzarli. Trovo stimolanti i consigli e le richieste dei miei amici e lettori e questo è un feedback positivo che mi sprona a proseguire sulla via intrapresa. L'esposizione al web la vivo bene perché nell'aver impostato il blog in maniera impersonale, affido al jiu-jitsu, nelle sue varie manifestazioni, il ruolo principale.
Potremo definirla una scelta editoriale - se mi passate il termine- e in questo mi sono ispirato ai blog d'oltre oceano, molto tecnici e didattici, nei quali i principianti possono trovare video e articoli in grado di integrare le loro conoscenze acquisite in palestra, e le cinture più alte trovare delle novità interessanti da integrare nel loro gioco.


Nel Jiu Jitsu brasiliano ci si confronta sempre, spessissimo, praticamente ad ogni lezione si fa sparring. Come tutti sappiamo, al contrario di ciò che consentono altri sport da combattimento, il Jiu Jitsu permette di testarsi a pieno anche in sparring da palestra, e per mia personale esperienza, devo dire che spesso in palestra si hanno condizioni anche più dure della gara stessa: avversario di età variabile, magari più pesante, di cintura differente, possiamo lottare senza limiti di tempo, l'assenza del computo dei punti porta a cercare la finalizzazione con più veemenza e via dicendo... beh, mi sembrano un mucchio di belle cose! Perché allora cercare il confronto in gara? Ancora più maliziosamente, perché per molti è un’ossessione gareggiare? Cosa non li soddisfa di quello che si fa sul tatami abituale?

Lottare a ogni lezione è un marchio di fabbrica del bjj e l'esclusione di colpi permette di tirare anche al 100%, senza il rischio di farsi male. Il bello del bjj è che si può lottare anche in maniera più soft, divagar, come dicono i brasiliani, e quando non si è in forma, o si viene fuori da un infortunio, si comunica al compagno di allenamento quanta intensità mettere nella lotta.
La prima fase dell'esperienza in un'accademia di Bjj, per chi non ha mai lottato, può essere "traumatica" perché l'idea di "prenderle" da tutti, grandi e piccoli, e a volte, anche da donne, non è piacevole. Superato il trauma iniziale, s’incomincia ad assaporare tutti i benefici di quest'arte. Nel Bjj prima viene l'amaro e poi il dolce.
In palestra siamo a casa e per quanto duro sia l'allenamento, quello che si fa sul tatami è soprattutto imparare e poi competere. Chi, nell'allenamento, mira soltanto a finalizzare non è mai un buon sparring partner e non migliorerà il suo jiu-jitsu, cosa che invece accade a chi, nel tentare nuove tecniche, rischia di essere finalizzato o a chi si mette volontariamente in posizioni difficili per imparare a uscirne. Si può essere un buon jiujitsero senza mai aver fatto una competizione come John Danaher istruttore di Bjj di Saint Pierre o il fratello del famoso Nino Elvis Schembri, Giuseppe Schembri che, se non erro, non ha mai gareggiato in vita sua. Per molti l'agonismo non è neanche preso in considerazione; per altri è un approdo naturale della pratica in palestra; per altri ancora è l'obiettivo principale di tanto sudore buttato sul tatami. Per tutti loro c'è posto in accademia: questo è un altro aspetto positivo del Bjj. L'ossessione a gareggiare credo possa essere ricercata nella sensazione di benessere che molti atleti provano quando sale l'adrenalina e questa sensazione, accompagnata alla gioia di vincere, spinge molti atleti a non perdersi una gara. Personalmente non sono un “animale da gara”, ma -devo ammettere- le forti sensazioni che si provano il giorno della gara, non si provano in accademia.

Il movimento del Jiu Jitsu come lo vedi? Crescita, stallo o sta cedendo il passo alle MMA ormai sempre più indipendenti?

Il jiu-jitsu in Italia è in crescita e il salto di qualità sta avvenendo in questi ultimi anni. Basti pensare all'ultima edizione della Milano Challenge che quest'anno ha visto riunire 540 atleti provenienti da tutta l’Italia. Un record storico che fa ben sperare per il futuro di questa disciplina. Non credo stia cedendo il passo alle MMA, che reputo uno sport in crescita, ormai incamminato su una sua strada indipendente.

Perché secondo te molti praticanti di Jiu Jitsu brasiliano hanno una particolare ritrosia per la difesa personale? Non ritengono il Jiu Jitsu adatto a questo fine, lede la preparazione per le gare, cosa c'è secondo te che non va nello studiare la peculiare difesa personale del Jiu Jitsu (peraltro sempre auspicata dai Gracie)?

I motivi per cui in Italia la difesa personale si pratica poco, o non si pratica per niente, all'interno delle accademie di Bjj, credo siano fondamentalmente tre.

1 - In Italia il Bjj ha subito preso una strada prettamente sportiva, vuoi per la mancanza di maestri brasiliani con un background più orientato alla difesa personale, vuoi perché la fama dei Gracie ha fatto prevalere di più l'aspetto del Vale Tudo.

2 - La difesa personale insegnata nel Bjj non ha lo stesso appeal del Bjj sportivo. Questo perché mentre il secondo, attraverso i campionati si è evoluto in maniera esponenziale, la prima è rimasta uguale a quella che Maeda insegnava ai Gracie e da allora non ha seguito un percorso di evoluzione.

3- Molti istruttori hanno un passato in altre discipline, diciamo più orientate alla difesa personale, e quindi un naturale rigetto per questo tipo di pratica può essere comprensibile. D'altro canto nel panorama delle AM col termine difesa personale possiamo riunire una sterminata serie, la più eterogenea, di stili o pseudo stili che si fa fatica a definire marziali.


Esiste una parte marziale nella tua pratica del Jiu Jitsu? Se sì, quale è?

Personalmente trovo difficile associare il jiu-jitsu al termine marziale. Mi spiego: innanzi tutto, se partiamo dal significato etimologico della parola “marziale” questa ci riporta a Marte, dio della guerra.
Le arti della guerra hanno più a che fare con le armi e con l'aggressione. Il jiu-jitsu, che possiamo considerare tra le prime forme di autodifesa codificate della storia, nasce in India praticata da monaci votati alla non violenza, spinti da esigenze di mera difesa personale per preservare la propria incolumità. Questo secondo me è lo spirito che emana dal jiu-jitsu e, a mio parere, il jiu-jitsu che viene dal Brasile, caratterizzato da grande informalità e "suavità", si presta meglio di quello originario, giapponese, più imbevuto della cultura militarista, a incarnare lo spirito "jiu" ovvero la cedevolezza.


Quali altre discipline ti piacciono oltre il BJJ? E se non esistesse il BJJ cosa praticheresti ora?

Con la pratica del Bjj mi sono naturalmente anche interessato di tutte quelle forme di lotta che possono essere complementari al Bjj stesso, come il Sambo, il Judo e la Lotta libera, però più da studioso che da praticante. Se avessi il tempo e l'età, mi piacerebbe integrarle nel mio jiu-jitsu. Tra le arti di combattimento più contundenti mi piacciono la thai e la Boxe, che non ho mai praticato, ma che reputo assai valide. Se non esistesse, il Bjj sarebbe un vero peccato, e forse, data l'età, mi occuperei di qualche attività ricreativa meno traumatica. Per fortuna il Bjj esiste e spero di continuare a divertirmi praticandolo per molti altri anni.


Il debole che batte il forte. Mito sempiterno delle arti marziali e riacceso dai Gracie stessi con le loro vittorie contro avversario più forti e pesanti. Cosa ne pensi?

Potremmo modificare il detto e affermare che la tecnica batte la forza. E di ciò dobbiamo ringraziare il Bjj. Come ha ricordato il mio maestro, Bernardo Serrini, solo al suolo un aggressore più forte può essere messo in grado di non nuocere. In piedi puoi camminare o correre. In acqua o nuoti o affoghi, e il suolo è come il mare: se non sai nuotare non sopravvivi. In accademia si assiste ad apparenti miracoli come veder finalizzare compagni di lotta molto più pesanti; per non parlare degli open dove un Marcelo Garcia ha potuto battere un Rico Rodríguez.

In passato ti sei avvicinato al Kali e al JKD, perché e come è successo?

Mi ci sono avvicinato dopo aver lasciato il karate tradizionale spinto alla ricerca di qualcosa di più efficace. L'incontro con i libri di Bruce Lee mi ha mostrato una visione più aperta, e meno tradizionalista delle arti marzial,i che mi ha incuriosito. A questo è seguito lo studio dei video di Bruce Lee, la lettura dei suoi libri e la scoperta degli stili filippini per opera di Dan Inosanto. Del mondo dell’jkd non mi sono mai piaciuti il settarismo e le diatribe tra “original” e “concept”, quelle tediose dispute che avevano diviso il karatè tra sostenitori della versione sportiva e di quella tradizionale. Anche da questo punto di vista, il Bjj si distingue perché, se è vero che esiste una divisione tra Gracie jiu-jitsu e Bjj questa non ha mai dato il pretesto per divisioni interne. Il bello del Bjj è che la stessa tecnica, eseguita da vari maestri, sarà diversa ma sarà sempre jiu-jitsu. A nessuno verrà mai in mente di distinguere il jiu-jitsu in stili in base alle preferenze del singolo maestro (l'eccezione che conferma la regola è Eddie Bravo). Non è il praticante che si adatta al Bjj ma il Bjj che si adatta al praticante.

Cosa significa per te “provare a combattere”?

Ho iniziato veramente a "provare a combattere" solo dopo aver iniziato la pratica del Bjj: lottando con compagni non collaborativ,i ho iniziato a esplorare i miei limiti e a rafforzare il mio carattere.
Penso che il Bjj sia un modo per tutti per "provare a combattere, dai 5 ai 90 anni - età in cui Elio Gracie ancora si allenava - E' indicato anche a chi, per timidezza o debolezza fisica, può trovare difficile l'idea di fare una disciplina più traumatica dove sono previsti i colpi. Persino il karate, che si definisce un’arte votata alla difesa personale, e che inizia ogni kata con una parata, è costretto a usare colpi per rispondere a un eventuale aggressore. Il Bjj realizza il precetto di “vincere senza combattere” perché, come dice Steve Maxwel,l è lo stile più umano per controllare un aggressore. Decidi tu quanta intensità mettere in un controllo o in una finalizzazione.


Cosa ti piace di Try To Fight?


Di Try to Fight ho trovato interessanti i contenuti degli articoli e mi auguro che in futuro altri appassionati di Bjj aprano blog così come già da anni accade in America e in Gran Bretagna, dove lo scambio d’idee è un terreno fertile per la realizzazione di post molto interessanti. Ho trovato interessanti il post sulla Nike fobia, su cui, da tempo, sto raccogliendo materiale, e che a suo tempo pubblicherò. Un altro articolo che mi ha incuriosito è "competere e combattere" e dal quale ho tratto spunto per la realizzazione di un prossimo post.

Chi ti senti di ringraziare per il tuo percorso marziale?

Tutti i maestri e i compagni di viaggio dai quali ho imparato e con i quali ho condiviso sudore e fatica.

giovedì 1 dicembre 2011

Recensione Libri TTF: Filipino Martial Arts as Taught By Dan Inosanto

Il libro in questione da ciò che sono riuscito a ricercare non è mai stato pubblicato in italiano. Sul web ancora si trova abbondantemente, sebbene la sua prima edizione risalga addirittura al 1980. L'inglese del libro non è proibitivo, con un buon inglese scolastico si legge senza eccessivi intoppi e le foto (davvero abbondantissime) e i disegni sono di eccelsa esplicatività. Questa guida completa alle Arti Marziali Filippine, cosa che pretende già dal titolo, mi fu regalata, con un gesto davvero gentile, dal M. Gianfranco Delli Paoli che, oggi e ormai da tempo completamente dedito al Jiu Jitsu, ebbi l'onore di vedere destreggiarsi con le armi filippine in diverse serate d'ozio estivo e, devo dire con onestà, aveva una manualità, una fluidità di movimento e una velocità incredibili, tanto che avrebbe fatto fare brutta figura con le sue movenze anche a quotati "esperti" delle arti questione.
Il libro è così articolato: si inizia con un presentazione dell'autore (che in realtà non ha bisogno di presentazioni) per poi passare a trattare la vita e i metodi dei più celebri e importanti maestri di Filipino martial Arts/Kali/Escrima. Di qui le basi tecniche, gli angoli, la numerazioni degli angoli, le figure per colpire (striking motions). Spiegate le tecniche e le meccaniche delle stesse si passa al Footwork (lavoro di gambe) peculiare di queste discipline. Seguono le tecniche difensive, l'uso della mano disarmata, chiavi articolari e disarmi, caratteristiche delle singole armi, tecniche a mano nuda, fino ad una lunghissima serie di consigli e drills per l'allenamento.
Ogni argomento viene trattato con sufficiente profondità e se pensiamo a quanti sono i temi del libro non è poco. Inosanto spiega l'arte (le arti) marziale della sua terra d'origine con passione, precisione, anche, come dicevamo, trattando tanti temi e senza mai cadere nel formalismo, nello stilismo, nella cerimonia. L'autore, cosa rara, sembra non volersi tenere segreti o sottintendere che non ci dirà i vari abracadabra, sembra invece sempre impostato sul farci capire le meccaniche universali, fondanti e i vari principi. Per questo davvero un manuale pratico in cui finalmente un'arte marziale appare priva di fronzoli, pratica e di facile apprendimento.
Testo consigliastissimo sebbene avrei gradito personalmente una trattazione più vasta delle tecniche a mano nuda anche se capisco che il fine dell'autore era probabilmente quello di presentare la vera chicca, il punto saliente e peculiare del mondo marziale filippino, il combattimento armato.

Autore: Dan Inosanto
Titolo: Filipino Martial art as Taught by Dan Inosanto
Casa editrice: Know Now Publishing Company