6° motto dell'Isshinryu Karate: "Il momento per colpire è quando si presenta l'occasione". Il concetto è semplice ma di non facile applicazione. Chiunque abbia scambiato colpi sa quanto sia difficile trattenere colpi che non arriveranno mai a bersaglio e che vengono tirati a mo' di monito per l'avversario più che per colpire. Colpire con la certezza di colpire non è solo difficile tecnicamente ma anche mentalmente perché si deve resistere alla tentazione di lanciare colpi vuoti che un mio saggissimo istruttore chiamava "alibi". I pugni, diceva, non devono essere alibi, delle scuse, ma devono arrivare sempre.
Il video pescato nel tubo è un tributo agli strikers e ai loro colpi. Nel contempo è anche una severa lezione a chi crede che le MMA siano ferme ai primissimi UFC. Oggi per entrare nel range di lotta con qualcuno si deve passare per una contraerea non facile da schivare e non facile da ignorare. Come diceva Royce Gracie pensare ad una strategia tipo "entro, vado per la baiana (double leg - morote gari), prendo la schiena e tiro un mata leao" non è una strategia ma un sogno, un desiderio.
A livello tecnico è interessante vedere quanti pugni verticali e quanti ganci "all'americana" ovvero sempre col pugno verticale, siano tirati nella realtà dei migliori strikers delle MMA. Il copia/incolla della posizioni delle mani e delle traiettorie della Boxe che molti insegnano anche in contesto MMA appare evidentemente un misero adattamento. Vedendo il video al rallentatore appare palese che ganci stretti col gomito a 90/100 gradi sono solo un leziosismo d'accademia che viene insegnato tutt'oggi ma da abbandonare o rivedere presto insieme, magari, agli orizzontalissimi pugni.
Questi sublimi "colpitori" sembrano proprio dire: prendimi... se ci riesci.
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mercoledì 27 luglio 2011
domenica 24 luglio 2011
Il Signor Giorgio Pao e i suoi diritti
Nell'immaginario di molti il marzialista è una figura angelicata e ascetica al contempo. Munito di una calma zen, saggio, istruito sulle culture orientali, tollerante, riflessivo. Immagine filmica e leggendaria spesso ben lontana dalla realtà. Come tutti gli umani il marzialista, invece, si perde in questioni di poco conto e talvolta di una meschinità non comune. Un fulgido esempio che vedo e leggo sempre più spesso è quello dell'atteggiamento del "chi ti ha autorizzato???".
Ne discutevo con un amico: mentre le sigle federali e quant'altro appartengono a persone fisiche e giuridiche le arti marziali e le loro metodologie no. Le arti marziali in quanto tali sono una rappresentazione di capacità umane replicabili da chiunque sia munito di dedizione e buona volontà. Siamo arrivati a questa conclusione partendo da sempre più presenti atteggiamenti che definirei di "copyright", di "trademark", di "brevetto", di setta.
Se due praticanti di Judo fanno un video in cui lottano basandosi sulle regole e sulle consuetudini del Jiu Jitsu brasiliano ecco che partono i commenti e i difensori del "copyright": "chi ti ha autorizzato???", "con chi hai studiato Jiu Jitsu", "chi è il tuo maestro!!?", "se non fai Jiu Jitsu che cazzo lotti a fare per terra!?" e così via. Non va proprio giù a molti che vista una metodologia di allenamento qualcuno si può prendere umilmente la briga di provarla. Attenzione! Ovviamente non confondiamo questa situazione con chi insegna più o meno lecitamente discipline di cui è incompetente. Qui si parla di usare metodologie (e non arti nel loro complesso), allenamenti, regolameni, per uso personale, per i propri alleamenti.
Poveri praticanti di Jeet Kune Do Concepts sono stati, sul web, martoriati e insultati perché hanno provato a muoversi un pochino a terra. Non insegnavano nulla, avevano solo messo un video con dei movimenti al suolo. Non va bene, presto è arrivato chi ha il diritto esclusivo di rotolarsi sui tatami.
Ho visto, udito e letto follie tipo "ah, quelli del Kung Fu (o Karate o chi volete voi) usano i pao! Ah sono ridicoli! chi gli ha insegnato a usare i pao?!??!? Ah, buffoni!"... Ora devo dire la verità, non sono un fan del genere umano, anzi spesso tendo alla sfiducia per questo, però devo anche dire che diverse qualificate persone mi hanno retto i pao e non sono riuscito a vedere nessuna scienza nel fare questo, se non la comune abilità di tenere sospeso un oggetto. Anche senza il libretto delle istruzioni penso che li potrebbe reggere mio zio burino, col riporto da contadinozzo. Evidentemente deve esserci il Signor Giorgio Pao che reclama i diritti di uso della sua invenzione e collaudata metodologia... altrimenti non può essere.
Sempre sulla scia di questa pazzia un mio amico andò su tutte le furie nel vedere dei praticanti di Karate coi guantoni da pugilato. Ma come si permettono? Che cosa c'entra il Karate con sti guantoni.!?... Gli spiegai che esistono stili di Karate che adottano questa metodica, detta Gloved Karate o Shin Karate. Ma al di là di tutto, dove cazzipicchio sta il problema se un praticante mettiamo Shotokan usa i guantoni? Cioè se non sei un purista dello stile, se neanche lo pratichi, mi chiedo, ma che cazzo ti frega se si mettono i guantoni o i guanti da giardiniere... affari loro! o no?
Un autore di un libro che ho letto e anche recensito addirittura spiegava che "se in un corso di Kung Fu o Karate si fa sacco o si usano i colpitori, non si sta più facendo lo stile detto ma lo stile personale del maestro che lo ha deviato e personalizzato"... Quindi se volete provare il vostro Shaolinquan su un sacco siete fottuti e non potete. Non so perché ma non potete. Ci deve essere da qualche parte un copyright che regola i diritti, inalienabili, del sacco.
Sono anche molto preoccupato per i praticanti di greco-romana perché nelle olimpiadi della classicità non credo che ci fossero fibre sintetiche per fare materassine e tute monopezzo. Non vorrei qualcuno gli chiedesse i diritti. Magari fanno qualcosa che non possono fare e non lo sanno!
Ma la figura del marzialista saggio, edotto e tollerante? è una balla?
Recentemente nel mio interesse per il Karate di Okinawa IsshinRyu ho visto praticanti su un forum americano scannarsi per chi poteva legittimamente praticare Bogu (o Koshiki) Karate, ovvero un regolamento piuttosto tipico degli stili okinawensi. Secondo alcuni gli stili non propri di Okinawa non lo dovevano praticare. Evidentemente esiste un signore Mincatsu Tanto Koshiki che possiede i diritti di un tipo di sparring e associate regole e io non lo sapevo. Probabilmente amico di Giorgio Pao.
Un'altra volta praticanti di varie Koryu di Ju Jitsu si scagliavano contro chi praticava un Ju Jitsu di sintesi delle discipline più note nipponiche. Non dovevano farlo secondo loro. O quantomeno non potevano nominarsi Ju Jitsu perché a loro non stava bene, dimenticando qualche decade di usi e costumi in merito al Ju Jitsu e il fatto che il regolamento sportivo più diffuso del Ju Jitsu è di fatto una sintesi di Karate, Judo e Ju Jitsu. Ma questi sono fatti e fattucoli per persone prosaiche come me, che non capiscono il valore di un marchio registrato.
Qualche mese fa con mio fratello mi sono permesso di fare sparring con le metodiche del Jissen (o Kakuto) Karate. Saranno cazzi miei. Verrà il signor Jissen sotto casa mia o i suoi accoliti e mi pesteranno di botte, perché non dovevo permettermi di usare una loro metodologia.
La verità è che un tempo non sapevamo neanche quali arti marziali girassero per Roma. Ora il web, internet, ha accorciato le distanze. Sono tutti sotto casa e sappiamo tutto di tutti. La concorrenza non fa piacere a nessuno, soprattutto ai Sacri Maestri e agli affaristi commercianti di quartordine che spesso sono la stessa cosa. La paura tremenda del confronto li porta a questi deliri grotteschi, indegni per ogni marzialista o semplicemente ogni persona onesta d'animo.
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Giorgio Pao mostra le abilità conseguite seguendoil suo corso ufficiale. |
Se due praticanti di Judo fanno un video in cui lottano basandosi sulle regole e sulle consuetudini del Jiu Jitsu brasiliano ecco che partono i commenti e i difensori del "copyright": "chi ti ha autorizzato???", "con chi hai studiato Jiu Jitsu", "chi è il tuo maestro!!?", "se non fai Jiu Jitsu che cazzo lotti a fare per terra!?" e così via. Non va proprio giù a molti che vista una metodologia di allenamento qualcuno si può prendere umilmente la briga di provarla. Attenzione! Ovviamente non confondiamo questa situazione con chi insegna più o meno lecitamente discipline di cui è incompetente. Qui si parla di usare metodologie (e non arti nel loro complesso), allenamenti, regolameni, per uso personale, per i propri alleamenti.
Poveri praticanti di Jeet Kune Do Concepts sono stati, sul web, martoriati e insultati perché hanno provato a muoversi un pochino a terra. Non insegnavano nulla, avevano solo messo un video con dei movimenti al suolo. Non va bene, presto è arrivato chi ha il diritto esclusivo di rotolarsi sui tatami.
Ho visto, udito e letto follie tipo "ah, quelli del Kung Fu (o Karate o chi volete voi) usano i pao! Ah sono ridicoli! chi gli ha insegnato a usare i pao?!??!? Ah, buffoni!"... Ora devo dire la verità, non sono un fan del genere umano, anzi spesso tendo alla sfiducia per questo, però devo anche dire che diverse qualificate persone mi hanno retto i pao e non sono riuscito a vedere nessuna scienza nel fare questo, se non la comune abilità di tenere sospeso un oggetto. Anche senza il libretto delle istruzioni penso che li potrebbe reggere mio zio burino, col riporto da contadinozzo. Evidentemente deve esserci il Signor Giorgio Pao che reclama i diritti di uso della sua invenzione e collaudata metodologia... altrimenti non può essere.
Sempre sulla scia di questa pazzia un mio amico andò su tutte le furie nel vedere dei praticanti di Karate coi guantoni da pugilato. Ma come si permettono? Che cosa c'entra il Karate con sti guantoni.!?... Gli spiegai che esistono stili di Karate che adottano questa metodica, detta Gloved Karate o Shin Karate. Ma al di là di tutto, dove cazzipicchio sta il problema se un praticante mettiamo Shotokan usa i guantoni? Cioè se non sei un purista dello stile, se neanche lo pratichi, mi chiedo, ma che cazzo ti frega se si mettono i guantoni o i guanti da giardiniere... affari loro! o no?
Un autore di un libro che ho letto e anche recensito addirittura spiegava che "se in un corso di Kung Fu o Karate si fa sacco o si usano i colpitori, non si sta più facendo lo stile detto ma lo stile personale del maestro che lo ha deviato e personalizzato"... Quindi se volete provare il vostro Shaolinquan su un sacco siete fottuti e non potete. Non so perché ma non potete. Ci deve essere da qualche parte un copyright che regola i diritti, inalienabili, del sacco.
Sono anche molto preoccupato per i praticanti di greco-romana perché nelle olimpiadi della classicità non credo che ci fossero fibre sintetiche per fare materassine e tute monopezzo. Non vorrei qualcuno gli chiedesse i diritti. Magari fanno qualcosa che non possono fare e non lo sanno!
Ma la figura del marzialista saggio, edotto e tollerante? è una balla?
Recentemente nel mio interesse per il Karate di Okinawa IsshinRyu ho visto praticanti su un forum americano scannarsi per chi poteva legittimamente praticare Bogu (o Koshiki) Karate, ovvero un regolamento piuttosto tipico degli stili okinawensi. Secondo alcuni gli stili non propri di Okinawa non lo dovevano praticare. Evidentemente esiste un signore Mincatsu Tanto Koshiki che possiede i diritti di un tipo di sparring e associate regole e io non lo sapevo. Probabilmente amico di Giorgio Pao.
Un'altra volta praticanti di varie Koryu di Ju Jitsu si scagliavano contro chi praticava un Ju Jitsu di sintesi delle discipline più note nipponiche. Non dovevano farlo secondo loro. O quantomeno non potevano nominarsi Ju Jitsu perché a loro non stava bene, dimenticando qualche decade di usi e costumi in merito al Ju Jitsu e il fatto che il regolamento sportivo più diffuso del Ju Jitsu è di fatto una sintesi di Karate, Judo e Ju Jitsu. Ma questi sono fatti e fattucoli per persone prosaiche come me, che non capiscono il valore di un marchio registrato.
Qualche mese fa con mio fratello mi sono permesso di fare sparring con le metodiche del Jissen (o Kakuto) Karate. Saranno cazzi miei. Verrà il signor Jissen sotto casa mia o i suoi accoliti e mi pesteranno di botte, perché non dovevo permettermi di usare una loro metodologia.
La verità è che un tempo non sapevamo neanche quali arti marziali girassero per Roma. Ora il web, internet, ha accorciato le distanze. Sono tutti sotto casa e sappiamo tutto di tutti. La concorrenza non fa piacere a nessuno, soprattutto ai Sacri Maestri e agli affaristi commercianti di quartordine che spesso sono la stessa cosa. La paura tremenda del confronto li porta a questi deliri grotteschi, indegni per ogni marzialista o semplicemente ogni persona onesta d'animo.
mercoledì 20 luglio 2011
Il soffocamento del Jiu Jitsu
Forse è una mia presunzione, e se è così mi scuso da subito. Forse sopravvaluto le mie capacità di interpretazione e, ancora, se così mi cospargo il capo di cenere. Forse sbaglio ma mi sembra proprio che un certo imbarazzo stia pervadendo il mondo del Jiu Jitsu, mi sembra proprio che una certa insofferenza sia diffusa tra i praticanti. Mi pare, se ben vedo, che questo mondo del Jiu Jitsu si stia sempre più chiudendo in un piccolo circolo elitario, al quale sono invitate sempre le stesse persone e con le stesse caratteristiche.

Credo di vedere l'imbarazzo per la confusione della finalità di queso Jiu Jitsu: Sport? Difesa Personale? Gi? No Gi? Per tutti? Per professionisti? Per pochi? Per competizioni? Sport da combattimento o arte marziale?
E altre domande ancora. Il fine è confuso e con esso non sono chiari i mezzi con i quali eventualmente raggiungerlo.
Non è chiaro cosa insegnare e come insegnarlo. Non è chiaro il sistema di graduazione: ormai per sapere qualcosa di qualcuno non rimane che combatterci. Cintura per agonisti, cintura per dilettanti, cinture per amatori, cinture "ad honorem". Il colore della cintura non spiega più nulla. Persone con impressionanti background vestono cinture impressionantemente basse e scolorite. Persone con grande esperienza e anni di tatami reclamano invece una cintura superiore. Cinture di un colore così poco chiaro da doverlo affiancare ad un termine chiarificatore: agonista, non agonista e via dicendo.
Se sport da combattimento deve essere che sia almeno fatto bene, mi pare di sentire mormorare. Basta con i mattatori di categoria, chi vince cambi subito cintura e sia introdotta la formula della "manifesta superiorità" che garantisca il livellamento tecnico quantomeno delle cinture più basse. Basta, mi pare di sentire da alcuni, con i professionisti mascherati che dominano e che di fatto non possono competere con chi il giorno dopo deve alzare una serranda o andare in ufficio o caricarsi pacchi. Si faccia allora come nella Boxe e affini. Le persone devono essere divise per numero di combattimenti fatti e/o gare vinte e per categoria dilettanti e professionisti. O per serie come nel Grappling Figrmma. Le attuali categorie non garantiscono nulla.
Da Rickson a Helio, ai praticanti che incontro o che leggo. Un certo scontento aleggia, una sensazione di rivoluzione finita, come spesso capita, nella restaurazione di vecchi sistemi. Sensazione di occasione persa.
Se arte marziale deve essere che sia almeno seria e con un briciolo di etichetta e con un minimo di attenzione per chi ha una certa età e il GH in stallo da anni e il testosterone calante. Se arte marziale deve essere che si faccia sapere ad un quarantenne se è possibile, e se sì come prendere, una cintura nera. Se arte marziale deve essere si istituisca il professionismo per chi gareggia ad alti livelli. Se arte marziale deve essere basta, ma davvero basta, idolatrare atleti palesemente dopati.
Si è arrivati alla pazzia di veder vincere un mondiale uno a cui era stato rotto il braccio con una legittima tecnica di gara. Non è bastato evidentemente per vincere, rompergli un braccio.
Comunità strana quella del Jiu Jitsu, anche dall'alto. Il regolamento internazionale a punti non piace a molti, a nessuno in verità quando si parla di "combattere da uomini". I vantaggi, i ribaltamenti, il tempo, le categorie di peso, le tattiche per mandare in stallo... sì, pare proprio che a molti non piaccia. Eppure non si muove una foglia. Poi un campionato europero per le cinture bianche, che guarda caso sono sempre le più numerose. Devono essere davvero in tanti ad aver intrapreso il cammino del Jiu Jitsu se ci sono tutte queste bianche o neo blu... eppure sempre le stesse facce.
Helio è morto, a Royce non piacciono le gare, a Rickson gli girano le palle... io pure non mi sento molto bene. (ok è una vecchia battuta di Woody Allen).

Credo di vedere l'imbarazzo per la confusione della finalità di queso Jiu Jitsu: Sport? Difesa Personale? Gi? No Gi? Per tutti? Per professionisti? Per pochi? Per competizioni? Sport da combattimento o arte marziale?
E altre domande ancora. Il fine è confuso e con esso non sono chiari i mezzi con i quali eventualmente raggiungerlo.
Non è chiaro cosa insegnare e come insegnarlo. Non è chiaro il sistema di graduazione: ormai per sapere qualcosa di qualcuno non rimane che combatterci. Cintura per agonisti, cintura per dilettanti, cinture per amatori, cinture "ad honorem". Il colore della cintura non spiega più nulla. Persone con impressionanti background vestono cinture impressionantemente basse e scolorite. Persone con grande esperienza e anni di tatami reclamano invece una cintura superiore. Cinture di un colore così poco chiaro da doverlo affiancare ad un termine chiarificatore: agonista, non agonista e via dicendo.
Se sport da combattimento deve essere che sia almeno fatto bene, mi pare di sentire mormorare. Basta con i mattatori di categoria, chi vince cambi subito cintura e sia introdotta la formula della "manifesta superiorità" che garantisca il livellamento tecnico quantomeno delle cinture più basse. Basta, mi pare di sentire da alcuni, con i professionisti mascherati che dominano e che di fatto non possono competere con chi il giorno dopo deve alzare una serranda o andare in ufficio o caricarsi pacchi. Si faccia allora come nella Boxe e affini. Le persone devono essere divise per numero di combattimenti fatti e/o gare vinte e per categoria dilettanti e professionisti. O per serie come nel Grappling Figrmma. Le attuali categorie non garantiscono nulla.
Da Rickson a Helio, ai praticanti che incontro o che leggo. Un certo scontento aleggia, una sensazione di rivoluzione finita, come spesso capita, nella restaurazione di vecchi sistemi. Sensazione di occasione persa.
Se arte marziale deve essere che sia almeno seria e con un briciolo di etichetta e con un minimo di attenzione per chi ha una certa età e il GH in stallo da anni e il testosterone calante. Se arte marziale deve essere che si faccia sapere ad un quarantenne se è possibile, e se sì come prendere, una cintura nera. Se arte marziale deve essere si istituisca il professionismo per chi gareggia ad alti livelli. Se arte marziale deve essere basta, ma davvero basta, idolatrare atleti palesemente dopati.
Si è arrivati alla pazzia di veder vincere un mondiale uno a cui era stato rotto il braccio con una legittima tecnica di gara. Non è bastato evidentemente per vincere, rompergli un braccio.
Comunità strana quella del Jiu Jitsu, anche dall'alto. Il regolamento internazionale a punti non piace a molti, a nessuno in verità quando si parla di "combattere da uomini". I vantaggi, i ribaltamenti, il tempo, le categorie di peso, le tattiche per mandare in stallo... sì, pare proprio che a molti non piaccia. Eppure non si muove una foglia. Poi un campionato europero per le cinture bianche, che guarda caso sono sempre le più numerose. Devono essere davvero in tanti ad aver intrapreso il cammino del Jiu Jitsu se ci sono tutte queste bianche o neo blu... eppure sempre le stesse facce.
Helio è morto, a Royce non piacciono le gare, a Rickson gli girano le palle... io pure non mi sento molto bene. (ok è una vecchia battuta di Woody Allen).
lunedì 18 luglio 2011
Recensione Libri TTF: Qinna pratico - L'arte delle Prese e dei Blocchi
Se lo Shuai Jiao è il Judo cinese il Qinna potrebbe tranquilamente essere il Ju Jitsu cinese.
Qinna (o Qin Na o Chin na o Kam na in cantonese) è un termine generico delle arti marziali cinesi che designa tecniche di presa, di lussazione, di rottura e di manipolazione dell'avversario. Il Qinna non è uno stile, è un patrimonio comune di tutti gli stili di Kung Fu (quali più e quali meno) ed è, come sopra detto, solamente un termine che specifica che alcune azioni sono di corpo a corpo finalizzato alla leva, alla pressione, al soffocamento e altro ancora. Fortemente utilizzato in Cina e qualche paese limitrofo per le tecniche di arresto tanto dalla polizia ordinaria quanto dall'esercito, ha così ricevuto una sorta di identità propria, smettendo parzialmente di essere una semplice voce degli stili di Kung Fu da affiancare a Quan Fa (tecniche di pugno) Tui Fa (tecniche di calcio) e via dicendo. Il suo uso militare lo ha estratto dal dominio degli stili per farne qualcosa di separato tanto da meritare un apposito libro con trattazione specifica. Il libro in esame si propone come un manuale pratico "dell'arte delle prese e dei blocchi". La trattazione inizia con una noiosa e ridondante esposizione di caratteristiche anatomiche, ossee, dei range di movimento delle articolazioni e con dei principi base sulle leve. L'analisi iniziale è piuttosto sovrabbondante e credo fortemente che molte persone che saprebbero rompere le ossa ad altre non saprebbero distinguere tra radio, ulna e omero, pertanto alcune tavole anatomiche sono del tutto eccessive per il fine in questione. La trattazione che tirerà in ballo la Fisica, quanto la Medicina durerà praticamente un terzo del libro. Di lì parte un elenco di leve dette "le 50 tecniche di base". Devo dire per onestà che la solenne e a tratti esoterica dicitura non trova nessuna conferma in nessuna mia ricerca e pare proprio che la numerazione e l'elencazione delle sedicenti tenciche di base sia di puro gusto dell'autore. Dopo le tecniche di base vengono spiegate le tecniche per distretti corporei. Saremo assaliti da un mucchio informe di semplicistiche applicazioni quasi sempre esenti di una nomenclatura tecnica. Difficile, poi, sarà la decrittazione dei disegnini non sempre chiari e delle dimensioni adatte. A tutto questo segue, qualora non ci fossero bastati i cenni di anatomia e fisica applicata al corpo umano, un'appendice di medicina tradizionale cinese con relative tavole. Nel complesso un libro confuso, che ad essere maligni sembra esporre una serie di leve molto banali che sembrano avere identità alcuna, né di Qinna né di altro.
Un peccato perché l'argomento poteva essere davvero interessante.
Autore: Zhao Da Yuan
Titolo: Qinna pratico - l'arte delle Prese e dei Blocchi
Casa editrice: Edizioni Mediterranee

Un peccato perché l'argomento poteva essere davvero interessante.
Autore: Zhao Da Yuan
Titolo: Qinna pratico - l'arte delle Prese e dei Blocchi
Casa editrice: Edizioni Mediterranee
giovedì 14 luglio 2011
Intervista a Sifu Paul Corti
Sifu Paul Corti dopo aver seguito per anni la scuola di Leung Ting ha creato un sua metodologia che ha chiamato Wing Tchun Do. Ho ritenuto particolarmente interessante intervistare Paul Corti per due motivi in particolare: il primo è che Sifu Corti è figlio di immigrati italiani in Australia e lì ha dovuto vivere con tutte le difficoltà che incontrano gli immigrati di ogni tipo. Difficoltà che lo hanno anche indirizzato alla pratica marziale. Il secondo motivo sta nel fatto che è un buttafuori esperto, ha lavorato per anni nei locali come responsabile della sicurezza. Sembra proprio che le arti marziali siano sempre state una necessità per lui.
lunedì 11 luglio 2011
Il bandito e il campione.
Aveva grossi progetti per sé. Si immaginava circondato di di fidi allievi, come lui era stato per altri. Aveva passato buona parte della sua vita dietro al combattimento e voleva farne un lavoro. L'opportunità gli si presentò grazie a qualche viaggio e ad una sorta di franchising, di cui perlatro andava molto fiero. Era una persona onesta e limpida, aveva studiato tanto per arrivare lì, certo non lontano per il mondo borghese, ma in alto per lui del mondo dei combattenti. Forse ancora troppo ingenuo per capire come reclutare persone iniziò a dichiarare alfieri della sua causa tutti quelli che gli capitavano sotto tiro, anche se, in vero, non troppo motivati. L'importante, pensava, era munirsi di un piccolo esercito di fedeli che lo avrebbero stimato e rispettato, magari anche a ragione. In fondo era una persona valida.
Proprio per quella smania di adepti, alla quale il suo altalenante ego non sapeva rinunciare, si trovò tra le mani un ragazzo che forse se avesse incontrato qualche anno dopo non sarebbe neanche entrato in palestra. Non aveva bisogno di imparare a combattere il ragazzo. Aveva cattiveria, grinta e corpo dalla sua. Avrebbe saputo menare le mani anche se si fosse dato al ciclismo.
Con la presunzione frequente nel mondo delle discipline del combattimento, pensava sopravvalutandosi, che lo avrebbe cambiato e gli avrebbe dato una rigorosa disciplina. Combattendo, il ragazzo, guadagnava rispetto per sé e per il suo maestro, vinceva e convinceva, anche se non proprio tutti. Proprio il maestro stesso rimaneva infastidito nel vedere nel combattimento la violenza che sapeva esprimere, sembrava non avere rispetto per niente e per nessuno e pareva combattere non per vincere ma per sfogare una sua qualche valvola evidentemente difettosa. Nei momenti pubblici però bastava la faccia da duro, magari per la foto, da affiancare a quella sempre torva del ragazzo, per convincere tutti che lui era fiero e che sì, loro, erano dei duri.
Frequentava, il ragazzo, persone che avevano famiglie che tirando le somme avranno avuto tre o quattro ergastoli, contando ciascun membro e cumulando le pene. Di tanto in tanto partiva per qualche spedizione punitiva ed era chiamato per l'occorrenza proprio per quelle sue abilità nel combattimento. In palestra era malvisto, ma tutti se lo tenevano per sé. Era troppo chiaro che non era "una brava persona" ma da qui a dirlo ce ne passa.
Lo vedeva mentre si allenava e pensava se questa realtà fosse quella che aveva immaginato. Aveva passato le sue conoscenze a chi non ne aveva bisogno e forse neanche avrebbe dovuto averle. Aveva tra le mani una belva che al circo era però sempre fiero di mostrare come sua creatura, l'aveva cresciuta lui.
Non sapeva proprio come districarsi da questo conflitto. Tenere i succcessi per sé e fingere di non sapere quanto di torbido vi fosse nel ragazzo era quello che aveva sempre fatto, ma col passare del tempo diveniva sempre tutto più pesante. A poco a poco era diventato un confidente e sapeva anche dove andava a regolare conti "con le buone o con le cattive, ma meglio le cattive" e sapeva che girava sui SUV pieni di colli cinti d'oro e polvere bianca.
Un giorno il ragazzo gli rispose male davanti a tutti. Gli prese il panico. Sapeva che lui era forte e bravo e forse, alle brutte, avrebbe avuto la meglio. Ma sapeva che non avrebbero combattuto con le stesse armi poiché l'altro ne aveva anche di ferro se voleva. Con la rapidità di un computer iniziò a elaborare dati. No, con lui non sarebbe andata finire male, pensava, era la sua guida. Ma forse sì, perché oramai aveva ascoltato troppo e chi tace acconsente e senza capirlo lo aveva assurto anche lui a boss della situazione.
Risolse, non si sa come, fingendo che quella risposta cattiva e di sfida era frutto della loro confidenza e ci scherzò sopra per far vedere a tutti, che sì, lui se lo permetteva solo perché aveva più confidenza. Se non fosse stato che il ragazzo gli teneva gli occhi addosso con la testa bassa e pronta a partire ci avrebbe creduto pure lui magari.
Pensava a quando progettava la sua carriera d'insegnante e aveva in mente ben più romantici scenari e bestemmiava tra sé e sé la sua inettitudine. Avrebbe volentieri bruciato tutte le coppe e coppette che aveva preso con lui.
Lo scritto in questione è puramente frutto di fantasia e qualunque riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
Proprio per quella smania di adepti, alla quale il suo altalenante ego non sapeva rinunciare, si trovò tra le mani un ragazzo che forse se avesse incontrato qualche anno dopo non sarebbe neanche entrato in palestra. Non aveva bisogno di imparare a combattere il ragazzo. Aveva cattiveria, grinta e corpo dalla sua. Avrebbe saputo menare le mani anche se si fosse dato al ciclismo.
Con la presunzione frequente nel mondo delle discipline del combattimento, pensava sopravvalutandosi, che lo avrebbe cambiato e gli avrebbe dato una rigorosa disciplina. Combattendo, il ragazzo, guadagnava rispetto per sé e per il suo maestro, vinceva e convinceva, anche se non proprio tutti. Proprio il maestro stesso rimaneva infastidito nel vedere nel combattimento la violenza che sapeva esprimere, sembrava non avere rispetto per niente e per nessuno e pareva combattere non per vincere ma per sfogare una sua qualche valvola evidentemente difettosa. Nei momenti pubblici però bastava la faccia da duro, magari per la foto, da affiancare a quella sempre torva del ragazzo, per convincere tutti che lui era fiero e che sì, loro, erano dei duri.
Frequentava, il ragazzo, persone che avevano famiglie che tirando le somme avranno avuto tre o quattro ergastoli, contando ciascun membro e cumulando le pene. Di tanto in tanto partiva per qualche spedizione punitiva ed era chiamato per l'occorrenza proprio per quelle sue abilità nel combattimento. In palestra era malvisto, ma tutti se lo tenevano per sé. Era troppo chiaro che non era "una brava persona" ma da qui a dirlo ce ne passa.
Lo vedeva mentre si allenava e pensava se questa realtà fosse quella che aveva immaginato. Aveva passato le sue conoscenze a chi non ne aveva bisogno e forse neanche avrebbe dovuto averle. Aveva tra le mani una belva che al circo era però sempre fiero di mostrare come sua creatura, l'aveva cresciuta lui.
Non sapeva proprio come districarsi da questo conflitto. Tenere i succcessi per sé e fingere di non sapere quanto di torbido vi fosse nel ragazzo era quello che aveva sempre fatto, ma col passare del tempo diveniva sempre tutto più pesante. A poco a poco era diventato un confidente e sapeva anche dove andava a regolare conti "con le buone o con le cattive, ma meglio le cattive" e sapeva che girava sui SUV pieni di colli cinti d'oro e polvere bianca.
Un giorno il ragazzo gli rispose male davanti a tutti. Gli prese il panico. Sapeva che lui era forte e bravo e forse, alle brutte, avrebbe avuto la meglio. Ma sapeva che non avrebbero combattuto con le stesse armi poiché l'altro ne aveva anche di ferro se voleva. Con la rapidità di un computer iniziò a elaborare dati. No, con lui non sarebbe andata finire male, pensava, era la sua guida. Ma forse sì, perché oramai aveva ascoltato troppo e chi tace acconsente e senza capirlo lo aveva assurto anche lui a boss della situazione.
Risolse, non si sa come, fingendo che quella risposta cattiva e di sfida era frutto della loro confidenza e ci scherzò sopra per far vedere a tutti, che sì, lui se lo permetteva solo perché aveva più confidenza. Se non fosse stato che il ragazzo gli teneva gli occhi addosso con la testa bassa e pronta a partire ci avrebbe creduto pure lui magari.
Pensava a quando progettava la sua carriera d'insegnante e aveva in mente ben più romantici scenari e bestemmiava tra sé e sé la sua inettitudine. Avrebbe volentieri bruciato tutte le coppe e coppette che aveva preso con lui.
Lo scritto in questione è puramente frutto di fantasia e qualunque riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
sabato 9 luglio 2011
Le tre strategie delle arti marziali giapponesi
Patrimonio un po' di tutte le arti marziali giapponesi, formulate in epoca imprecisabile ma sicuramente premoderna, le tre strategia del "sen" ovvero dell'iniziativa, sono la chiave di interpretazione di alcune tecniche nonché di alcuni Kata.
La prima e basilare strategia è Go no sen. Questa strategia si basa sull'attuazione o di un movimento difensivo o elusivo seguito da un'azione di attacco. Go no sen è l'applicazione più semplice e visibile del motto del Karate Karate ni sente nashi letteralmente "il Karate non agisce mai per primo". Nel repertorio del Ju Jitsu nipponico Go no sen è visibile nell'atteggiamento di diversi Kata di alcune Koryu (scuole antiche).
Sen no sen (talvolta solamente "sen") è la strategia di contrattacco puro. L'azione dell'avversario è ormai in via di completamento e si agisce sfruttando il vuoto dell'attacco avversario stesso. La strategia implica la simultaneità di attacco e difesa, ma stavolta l'azione difensiva mira direttamente a colpire l'attacante. Attaccare sull'attacco è un concetto diffuso in diverse arti marziali. Nell'Aikido è particolarmente sviluppata questa strategia ed esplicita nelle azioni di Irimi. Mentre si è attaccati si entra nella sfera d'azione dell'assalitore.
Sensen no sen è la strategia probabilmente più complessa. L'attaccante non ha ancora compiuto l'attacco, ne ha solamente manifestato l'intenzione (sen) o il caricamento.
La prima e basilare strategia è Go no sen. Questa strategia si basa sull'attuazione o di un movimento difensivo o elusivo seguito da un'azione di attacco. Go no sen è l'applicazione più semplice e visibile del motto del Karate Karate ni sente nashi letteralmente "il Karate non agisce mai per primo". Nel repertorio del Ju Jitsu nipponico Go no sen è visibile nell'atteggiamento di diversi Kata di alcune Koryu (scuole antiche).
Sen no sen (talvolta solamente "sen") è la strategia di contrattacco puro. L'azione dell'avversario è ormai in via di completamento e si agisce sfruttando il vuoto dell'attacco avversario stesso. La strategia implica la simultaneità di attacco e difesa, ma stavolta l'azione difensiva mira direttamente a colpire l'attacante. Attaccare sull'attacco è un concetto diffuso in diverse arti marziali. Nell'Aikido è particolarmente sviluppata questa strategia ed esplicita nelle azioni di Irimi. Mentre si è attaccati si entra nella sfera d'azione dell'assalitore.
Sensen no sen è la strategia probabilmente più complessa. L'attaccante non ha ancora compiuto l'attacco, ne ha solamente manifestato l'intenzione (sen) o il caricamento.
mercoledì 6 luglio 2011
Recensione Libri TTF: Karate - Masatoshi Nakayama

Il fine del libro in questione è quello di fornire un completo manuale del Karate, un prontuario dove troviamo le tecniche e gli esercizi basilari ma anche informazioni per avanzati.
Una disamina settoriale caratterizza tutto il libro: le posizioni, tipologie di percossa con mani e piedi divise per punto di impatto del nostro arto, Tsuki waza (pugni), Uchi waza (percussioni), Keri waza (calci e ginocchiate), Uke waza (parate, blocchi e deviazioni), allenamento tecnico e atletico di base, cenni di anatomia e di punti vulnerabili del corpo umano.
domenica 3 luglio 2011
Intervista a Sifu Carlo Bernardi
Una cosa mi è chiara. Sifu Carlo Bernardi è un instancabile praticante di arti marziali e un appassionato che non teme confronti. Quando gli ho inviato le domande, le ha prese sul serio e ci ha regalato un autentico trattato sulla sua disciplina, il Wing Tsun. Perfezionista, appassionato, aggiornato. Non poteva, mi spiegò, rispondere superficialmente alle mie domande e così è stato. Si è tuffato nell'intervista esaminando ogni domanda col piglio dello studioso, dello scienziato del marzialismo.
Nell'intervista si vede bene il Sifu e l'Uomo. Il Sifu è evidentemente un leader nella sua disciplina, la conosce, la ha fatta sua e riesce a spiegarla. L'Uomo è una persona schietta, che dice quello che pensa, che ha una profonda onestà intellettuale. Un Uomo che non ha avuto paura di rimettersi la cintura bianca per esperire altre e nuove esperienze motorie, mettendosi in discussione, cosa rara, rarissima tra i Maestri.
Sifu Bernardi, prima di scrivere l'intervista, mi ha detto cortesemente che sarebbe stato gradevole incontrarci prima di fare ogni cosa, così avrei conosciuto direttamente la persona di cui avrei pubblicato il pensiero. Sulle prima, non lo nego, sono stato un po' infastidito da ciò, pur capendo la bontà della sua richiesta. Io abito lontano da dove lui si allena e per me "questo" non è un lavoro, non ci guadagno nulla. Con mia grande sorpresa, incontrandolo, ho invece guadagnato, diciamo così, una piacevole e schietta conversazione che mi ha ricordato il valore didattico degli incontri marziali che tramite questo sito ho avuto. Una persona all'apice della sua carriera marziale che mi ha trattato con tutte le cortesie del caso e che è stato bene felice di scambiare opinioni con me, trattandomi da pari.
Persona schietta, romano verace, non sempre diplomatico non per scortesia ma perché ha delle posizioni molti lucide e stabili.
D - Gentile Sifu, può parlarci di lei e del sua storia marziale?
Molto volentieri anche se non è proprio semplice sintetizzare in poche parole un’attività marziale di quasi 40 anni come la mia. Praticamente una vita passata nella ricerca e nella sperimentazione in cui ho avuto modo di praticare e provare molte arti marziali, alcune anche ad alti livelli. Per quasi 20 anni mi sono dedicato all’aspetto sportivo delle Arti marziali, mettendo me stesso alla prova molte volte, ma poi ne ho perso l’interesse che si è successivamente spostato maggiormente verso la difesa personale nella sua espressione più concreta,
sabato 2 luglio 2011
I vari tipi di pugno e percussioni con le mani.
Tratto e tradotto da www.cyberbudo.com
Il Pugno semplice
La forma più conosciuta è il pugno semplice - le dita sono tutte piegate in più strettamente possibile, e il pollice è ripiegato sopra la seconda fila di falangi.![]() ![]() ![]() |
Una modifica importante è il pugno Mutobu.
