lunedì 25 aprile 2011

Capoeira nelle MMA? Non scherziamo per favore. (ma c'è dell'altro)

Devo dire la verità ho iniziato per caso ma ci sto prendendo gusto.
Esattamente come nel titolo, risponderebbe qualche santone, quelli che possiedono la verità su tutto.
Personalmente mi limito solo, socraticamente, a non sapere e a porre interrogativi.
Avevo iniziato per caso ma questa cosa di proporre praticanti delle discipline più improbabili, sempre secondo quelli che la sanno lunga, che eppure se le danno di santa ragione in diversi contesti, mi piace davvero.
Recentemente ho visto un video in cui si diffidava dall'apprendere le MMA da chi le MMA non le conosce. Perché esiste davvero qualcosa di stilisticamente obbligatorio nelle MMA? la risposta è, non amo usare il maiuscolo ma devo farlo, NO. No, assolutamente no. Nessuno vieta a nessuno di partecipare a eventi di MMA con le proprie abilità, anche se sono state coltivate in risse sui campi di calcetto. Nessuno vieta di usare come stand up skills il Baguazhang e a terra il Kamasutra. Nessuno. Ovviamente esistono dei canali preferenziali. Possono essere ad esempio l'apprendimento della Thai Boxe, della Lotta e del Jiu Jitsu. Ma questa è un'ovvieta. Perché lo è? Perché questa è la semplice tendenza ad usare ciò che ha già prodotto ottimi risultati insita nell'uomo, e presente nelle teorie dello psicologo Albert Bandura.
Quando vediamo che la maggior parte dei fighter adottano alcune metodologie collaudate e note, possiamo notare nel fatto stesso la spiegazione del fenomeno. E' la teoria dell'apprendimento sociale. Stop. Da essa non traiamo nessuna informazione su ciò che non può essere (che non può funzionare, nel nostro caso) ma solo su quello che può essere. Mi spiego meglio: se per cacciare gli animali ho visto usare una pistola, questo mi informa sulle possibilità della pistola, ma non esclude nulla sul fucile perché, semplicemente, non è stato esperito.
Molte persone, per motivi forse commerciali, vogliono a tutti i costi farci credere che le MMA siano una disciplina con delle tecniche rigidissime, peggio delle arti marziali più tradizionali, che se non le hai studiate con questo e quello allora non fai MMA. Questo atteggiamento psicologicamente ingenuo, perché l'individuo si pone come il bimbo nelle sue prime fasi di apprendimento dogmatico, è commercialmente invece paraculo così io ho l'esclusiva, perché ho appreso dalla fonte le tecniche e te lo metto in quel posto e ti scredito.
La Capoeira è una bellissima disciplina davvero intrisa di storia del Brasile. Molte persone non la considerano nemmeno un'arte marziale ma una danza. Altre ancora pensano sia impossibile andare su un ring con le giravolte e i calci della Capoeira... ecco i video.

Prima però un'ultima cosa. Prima di ogni articolo mi documento come posso. Ho trovato in un blog americano  di MMA e Jiu Jitsu questa bellissima frase, sebbene ovvia per chiunque abbia superato la cultura totemica: Any martial art has the potential to be effective in the ring or on the street... as long as you fully understand its weaknesses and limitations in addition to its strengths.  Con curiosità ho notato che l'autore citava Machida tra coloro che provano questo...





domenica 24 aprile 2011

Recensione Libri TTF: Jiu Jitsu Brasiliano - Teoria e Tecnica

Finalmente un libro sul Jiu Jitsu brasiliano di facile reperibilità e in italiano. Autori Renzo e Royler Gracie, il libro è una summa delle tecniche fondanti del Gracie Jiu Jitsu. Non manca una ricca inquadratura storica e stilistica nonché una introduzione all'ambiente del Jiu Jitsu. Viene spiegata l'informalità del Jiu Jitsu brasiliano rispetto alle altre arti marziali, vengono spiegate le possibilità agonistiche e non, e viene spiegato il sistema di graduazione. La cintura viola (la terza, dopo la bianca e la blu), spiegano, è l'equivalente di una cintura nera nelle altre arti marziali. La nera riguarda solo un'elite, come testualmente viene affermato. Come già avevo avuto modo di affermare su queste pagine circa la differenza di graduazione tra arti asiatiche e Gracie Jiu Jitsu, la nera non è vista come l'inizio di un cammino ove si siano poste solide basi, ma è vista come l'arrivo tra persone scelte. Le tecniche proposte sono circa 110 e sono suddivise secondo i colori delle cinture. Dal programma per la blu fino a quello per la nera, viene presentata una ampia parte del percorso del Jiu Jitsu. La cosa che più impressiona del libro è la grandissima importanza che viene data alle tecniche di esclusivo uso di difesa personale. Queste accompagnano il lettore, e quindi il praticante visto che il libro si propone come un vademecum del Jujitero, dal primo programma alla cintura nera e occupano una parte gigantesca, rispetto a quello che siamo abituati a vedere nelle palestre, del percorso di formazione marziale. Senza tema di sbagliare eccessivamente possiamo dire che il 30-40% delle tecniche sono spiegate come appartenenti al settore della difesa personale. Da ciò potremmo trarre amari spunti: come spesso capita, quando le arti marziali vengono esportate, vengono un po' edulcorate per renderle più appetibili alle diverse culture. Sappiamo che è capitato con le arti nipponiche come con quelle cinesi. Due per tutti, il Karate che è stato depauperato dalla sportivizzazione particolarmente europea e il Tai Chi Chuan (Taijiquan) che viene praticato con spirito new age, accanto ai tarocchi, l'oroscopo e bislacche teorie sull'energia cosmica. Libro altamente consigliato a tutti i praticanti e a chi cerca il primo incontro con il Jiu Jitsu dei Gracie.

Autori: Renzo Gracie, Royler Gracie
Titolo: Jiu Jitsu Brasiliano - teoria e tecniche
Casa editrice: Edizioni Mediterranee

sabato 23 aprile 2011

Lottare a terra e colpire

L'allenamento Ground & Pound, ovvero lottare a terra con la possibilità di colpire, dovrebbe essere pane quotidiano per il groundfighter poiché con esso si scoprono le autentiche potenzialità del combattimento reale al suolo. Purtroppo spesso non è così e questo allenamento viene lasciato ai soli praticanti di MMA, forse nell'errata concezione che sia eccessivamente duro o difficile da allenare senza farsi male. Nella realtà, come tra poco ci mostrerà il buon Chuck Liddell, le virtù del combattimento totale al suolo sono perfezionabili in totale sicurezza. Nel video vengono mostrati possibili scenari di allenamento e come si può vedere è praticabile senza essere supereroi.
Devo dire che, da quello che ho potuto capire, esistono corsi di MMA dove si distingue nettamente la parte in piedi e la parte a terra e quest'ultima è considerata solamente dal profilo lottatorio. Effettivamente questo approccio non è realistico, praticare distintamente i colpi, le percussioni e la lotta è senz'altro un buon inizio ma non può essere una metodologia costante di allenamento, è evidentemente priva di un aspetto fondamentale del combattimento, il Ground and Pound..
Scenari consigliati: una sola persona colpisce e l'altra lotta solamente, cambiare costantemente la posizione iniziale, entrambi colpiscono e lottano, allenamento con i colpitori e l'allenamento con lo "smemorato del Jiu Jitsu", molto utile per simulare situazioni di difesa personale; qualora il vostro partner di allenamento sia smaliziato nelle dinamiche lottatorie gli si chiede di fingere di dimenticarle e di avere un atteggiamento identico a chi lotta e colpisce al suolo per la prima volta.

mercoledì 20 aprile 2011

La solitudine del marzialista

Ho appena finito di vedere l'ultimo video messaggio di Alessio Sakara dal titolo "Siamo alle solite" e sottotitolo "Non fidatevi mai di nessuno... è proprio vero". Alessio nel video annuncia la fine di una collaborazione professionale, senza dare spiegazioni per ovvi motivi personali, facendo vedere però la sua amarezza. La parola un po' incerta rispetto al solito, il tono della voce, gli occhi (il volgo dice siano lo specchio dell'anima) un po' delusi. Non conosco le vicende implicite nel video e non conosco le persone coinvolte. Eppure qualcosa mi ha colpito. Probabilmente è stata l'universalità della sua delusione, così visibile, così manifesta seppure taciuta nelle motivazioni. Vedere un professionista come Alessio Sakara avere gli stessi occhi, la stessa voce, la stessa delusione che tante volte ho riscontrato in me e in tanti altri umili praticanti mi ha lasciato pensare.
Immaginavo, ingenuamente, che i veleni dei grandi nomi fossero differenti. Ovviamente non pensavo che non ci fossero, solamente credevo fossero diversi da quelli di noi umili praticanti. Invece no, o almeno così mi è parso. Erano proprio gli stessi sentimenti delle tante persone che ho incontrato, la delusione per la delusione, la tristezza per il fatto di essere di nuovo tristi, la solitudine del trovarsi sempre soli. Il mondo marziale è così, allora. Per tutti, a tutti i livelli. Non ci delude tanto l'accaduto, ma il fatto stesso che siamo stati delusi di nuovo e così come per il resto. Sakara, Fighter UFC, mi è parso vicino ai dispiaceri dei "mortali", lui, che è nell'olimpo degli dèi. 
Non conoscendo nulla in più di quello detto nel video, posso solamente pensare che forse qualcosa di sbagliato c'è nel mondo marziale. Saranno troppe prime donne? Troppe invidie? Troppe persone indegne del concetto stesso di marzialità? Non so... 
Leggere quel "Siamo alle solite" a testimonianza del già vissuto, a testimonianza di una situazione che si è ripetuta mi ha fatto uscire dal messaggio video in sé e leggere, forse, un contenuto generico, universale, che chiunque qui, in questo ambiente, conosce. 
E' vero forse. Il percorso del marzialista è una via da fare da soli, senza maestri e mentori, senza improbabili guide o Virgilio che non sanno neanche come si chiamano.
"Che tecniche hai fatto con questo, dimmi", "Ah quello non capisce niente", "Quello è uno stronzo", "Quello è una pippa", "Quello basta che vede i soldi", "Ora ti faccio fare lavori migliori di quelli che hai fatto prima", "Il tuo vecchio insegnante non capisce niente", "Non è vero, si è imparato sulle VHS"... Virgolettati di frasi reali che tutti abbiano sentito o abbiamo sentito sentire. 
Si dovrebbe scendere tutti dal podio, dal piedistallo, se poi guardi in basso vedi che neanche è un podio ma casse di mondezza dove ti sei inerpicato.

lunedì 18 aprile 2011

Ehsan Shafiq. Kung Fu da film d'azione per confronti reali.

Ehsan Shafiq è un maestro di Kung Fu afgano. Su di lui le informazioni sul web sono un po' scarsine ma da quello che si riesce a sapere pratica Kung Fu (fonti riportano lo Shaolinquan) e si diletta in incontri con regolamenti vari. Passa dalla Kick Boxing, al Taekwondo, al Sanda, a regolamenti tipo Point Karate e Ko Karate. Sembra un po' un Gracie del medioriente, tutto proteso a confrontarsi contro altri combattenti per dimostrare la validità dei suoi metodi. Da quello che pare non ha una disciplina di riferimento in cui confrontarsi ma va dove capita e sembra proprio che ci tenga molto a vincere con le sue tecniche filmiche. Nei suoi incontri si nota una certa caparbietà nell'insistere sulle sue tecniche spettacolari perché la sua missione non è vincere, ma combattere a modo suo.
Qualche tempo fa, sulla scia di alcune cattive interpretazioni di alcuni sport da combattimento, siamo stati tutti scettici sull'utilizzo e sull'efficacia di alcune tecniche, soprattutto "volanti". I calci alti, altissimi o saltati sembravano qualcosa di adatto agli "action movie" peraltro pure di serie B, inadatti a qualsiasi confronto a contatto pieno con l'eccezione del High Kick (High Roundhouse Kick). Come un Gracie dello striking, Shafiq, porta avanti il suo stile e la sua versione dell'efficacia, imperterrito e a quanto pare con discreto successo.

Sembra proprio che oltre a provare a combattere sia necessario provare a farlo secondo le proprie corde.

Ultima cosa prima dei video. Chissà che diranno i tanti, non tutti ovviamente, maestri di Kung Fu che in vita loro non hanno mai provato qualcosa di non collaborativo!













Il loro allenamento di Kung Fu...


E sempre per la serie ma "ma che film te sei visto?" un altro fighter e un altro incredibile calcio volante... anche laddove una perdita di equilibrio sarebbe l'inizio della fine.

venerdì 15 aprile 2011

Saper incassare... ma sarà possibile? MMA vs Boxe

"E' un ottimo incassatore", "ha una eccellente tecnica e sa incassare", "saper incassare è importante come saper colpire".
Frasi riprese da telecronache di incontri di boxe. Sono comuni e sono frasi confermate da numerosi scritti sul web, anche d'oltre oceano. Come tutti sappiamo la boxe è l'unico sport da combattimento dove si usano solamente le braccia. Esistono differenti regolamenti e arti marziali dove di colpisce sia di calcio e di pugno ma non ne esiste nessun'altra dove si prendono in considerazioni solo i pugni. Cosa comporta questo? Leggiamo le parole di Joe Rogan, commentatore e analista dell'UFC: " la boxe è una forma molto limitata di combattimento. Le MMA sono un sport di combattimento reale. Incorpora tutti gli aspetti del combattimento come la lotta a terra, pugni, calci, gomitate, sottomissioni. La boxe è solamente un aspetto delle MMA. La cosa fondamentale è che le MMA sono uno sport legato al combattimento. La boxe è, invece, uno sport di pugni, questo è tutto quello che è... tanti aspetti della boxe sono davvero inefficaci, e davvero non funzionano in un combattimento reale: tutti i movimenti elusivi del corpo, le rotazioni, (bobing, weaving, ducking ndr), i movimenti delle spalle... [...] ... Il pugilato è un bellissimo sport, ma è uno sport in cui il combattimento è solamento uno degli aspetti su cui si basa. Mentre le MMA sono uno sport dove si combatte. La boxe è uno sport, uno sport limitato, limitato ad un solo aspetto del combattimento."

Joe, ti secca se aggiungo il mito del saper incassare agli aspetti inefficaci?

Se realmente la boxe è una forma molto limitata di combattimento, uno sport dove il combattimento è uno dei tanti fattori che contano ma non è l'aspetto prominente ecco perché dal pugilato si sfornano falsi e infondati miti. Uno di questi è il mito del "saper incassare". Incassare è possibile solo se sia noi che il nostro avversario abbiamo a disposizione dei guanti che quantomeno raddoppiano la superficie delle nostre mani (diventiamo così difficilmente penetrabili con i pugni) e il nostro avversario non usa una delle sue armi naturali più potenti: le gambe.
In un combattimento appena più completo, incassare diviene impossibile. Si può incassare una tibiata sulla faccia? E una ginocchiata?... la risposta ovvia è no. Negli altri sport da combattimento, ovvero quelli dove il combattimento riveste una percentuale importante della disciplina, la prima regola è non prenderle. E' evidente che avere una buona sopportazione del dolore aiuta. Ma di certo non è possibile vedere le inverosimili scene che si vedono nel pugilato (di seguito nei video). Pugni devastanti che eppure lasciano in piedi l'avversario. Tutto questo a scapito della sicurezza perché il ripetersi di decelerazioni di questo tipo crea micro emorragie cerebrali, che presto o tardi danneggeranno il nostro cervello... irreparabilmente.
In un combattimento reale incassare non è possibile, così come non è possibile sopportare la quantita di colpi al volto che arrivano nella boxe... e, ancora, non è possibile usare improbabili posizioni difensive come il crouch, posizioni che senza guantoni divengono inutili.
Ecco a voi una ricca sequenza di immagini dove possiamo ammirare i pugili nella loro abilità nell'incassare. Visto questo capiamo perché la boxe è uno degli sport più pericolosi che esistono e perché Joe Rogan la bolla come inefficace in una situazione che non sia quella specifica del pugilato.


Ci aspetteremo che colpi così violenti mandino Ko. Invece pochi secondi dopo vediamo gli stessi pugili negli stessi incontri continuare il combattimento.


Ecco il dibattito di Joe Rogan.


http://en.wikipedia.org/wiki/Dementia_pugilistica

lunedì 11 aprile 2011

Intervista a Marco Baratti

Marco Baratti è un grande del Jiu Jitsu italiano. La sua esperienza sul Jiu Jitsu è totale: è passato per il tradizionale, per il Ju JItsu Fighting System fino al Brazilian Jiu Jitsu e alle gare di quest'ultimo. Senza farsi mancare Judo e Karate. Che dire un Jutsuka d'altri tempi. Le sue gesta sportive sono di respiro internazionale nonché interdisciplinare. Campione titolato e insegnante appassionato, Marco ha nel Jiu Jitsu la sua vita.
Per il resto non vi rimane che leggere l'intervista e vedere il video sottostante.


E' un grande piacere per me intervistarti Marco. Ho seguito le tue vicende per diverso tempo e sono rimasto entusiasmato sia dai tuoi successi sia dalla tua voglia di metterti in gioco. Vogliamo dire ai lettori chi è e cosa ha vinto Marco Baratti?
Grazie per i complimenti. Beh, posso dire che sono arrivato terzo ai combat games 2010 nella specialità JJFS (Ju Jitsu Fighting System) nella stessa specialità 3° ai mondiali 2006 1°agli eurpoei 2007 3° in quella 2009. Nel bjj sono arrivato 3° agli europei 2008 nelle blu e 2° a squadre blu. Nel grappling nel 2009 3° alla coppa italia classe A. Sempre nel jjfs ho vinto 8 volte consecutive i campionati italiani.
Più o meno credo d'aver detto tutto
Beh come vedi i complimenti erano dovuti! Come hai trovato il passaggio dal jjfs al bjj? Cosa è cambiato nella tua preparazione alla gara?
il jjfs è una disciplina complessa. Richiede un grande bagaglio tecnico..troppo grande... io ho sempre cercato di perfezionare la mia tecnica con gli esperti del settore. Ad un certo punto è diventato impossibile non cercare di imparare a lottare a terra dagli esperti di bjj.
Ho iniziato così a praticare bjj circa nel 2003/2004 e sempre di più me ne sono innamorato, proprio perché ho capito che si trattava di un metodo di lotta completo e non solo una specializzazione a terra.
Ho visto spesso praticanti di bjj avere una certa aria di sufficienza nei confronti del jj nipponico. Alcuni addirittura credono che il triangolo, l'armlock, la monta o l'omoplata siano invenzioni del bjj! Su un forum lessi un tizio che affermava che il Jiu Jitsu non c'entra nulla con il Brazilian Jiu Jitsu... a te la parola
Si tratta naturalmente di errori storici. il legame c'è eccome...
io credo però che si debba accettare però l'idea che il jj è cambiato e cambierà.
Direi che basta studiare un po'... ma non è virtù di molti al giorno d'oggi.
Dall'epoca dei samurai le cose son cambiate non poco. Sarebbe segno di ottusità voler congelare la pratica marziale e quindi il jj a quell'epoca. Così è stato nella seconda metà del 1800 quando jigoro kano creò un nuovo stile di jj ovvero il judo, cercando di modernizzarlo sotto tanti aspetti.
Quel jj è molto simile al nostro bjj, troviamo lì tante tecniche che , come dicevi tu prima, oggi sono per molti il pane quotidiano. Poi l'evoluzione ci ha portato al bjj, dove l'esperienza nipponica è stata rivisitata ed adattata dalla famiglia gracie
Come hai iniziato e con chi prosegue il tuo cammino nel Jiu Jitsu?
Il mio cammino nel jj è iniziato a 6 anni, come uno dei tanti bambini.
Ovviamente con il JJ tradizionale, anche perchè nel 1982 qui in italia ben pochi conoscevano il bjj.. (forse nessuno ndr) non ho mai smesso e praticando questa disciplina per me il jjfs era il normale sbocco sportivo della mia pratica.
Oggi le cose sono molto cambiate, il mio lavoro è insegnare jj nella mia accademia e allenarmi per me vuole dire condividere un'esperienza quorotidiana con i miei allievi o con qualche altro esperto di arti marziali.
Quale legame vedi tra il Jiu Jitsu tradizionale e il Gracie Jiu Jitsu... poi, voglio essere più chiaro, esistono davvero diversi jiu jitsu o alla fine dei conti il corpus è unico?
Il Jiu Jitsu deve essere uno unico, con tutte le sue differenze e punti di vista, almeno lo è per me. Ma, come dicevo prima, non si può ignorare il fenomeno Gracie, non si può ignorare l'UFC non si può continuare a far finta d essere dei mezzi Samurai.....
Come gestisci il tuo insegnamento? Come è composto il Jiu Jitsu che insegni?
Chi si iscrive nella mia accademia può praticare tutti i giorni brazilian jiu jitsu, ci sono due appuntamenti settimanali consigliati per i principianti, dove si studiano le tecniche base di questa arte marziale. Si cerca di capire la logica che sta dietro alle tecniche ed in modo particolare si studia l'approccio all'autodifesa. Si tratta di due appuntamenti apprezzatissimi da tutti i praticanti anche da chi non è più un principiante..
per il resto della settimana gli allenamenti sono dedicati al più tipico bjj , con corsi per tutti e con altri dedicati agli agonisti , corsi nei quali l'intensità di allenamento è massimale.
Dato che mi chiedevi del JJfs ti dirò anche che solo gli atleti che hanno una conoscenza minima del bjj (dalla cintura blu) e solo se intenzionati a gareggiare possono partecipare a specifiche sessioni di allenamento dedicata al JJFS. Inutile cercare di fare JJFs se non si sa fare bene una proiezione o non si sa cosè un passasggio di guardia ecc....
Mensilmente organizzo allenamenti congiunti con atleti di varie accademie per fare dello sparring insieme, sono sessioni molto apprezzate, in quanto tutti i praticanti intenzionati a gareggiare riconosco l'importanza di confrontarsi con atleti diversi da quelli abituali
Secondo te il praticante che non fa gare ha qualcosa in meno rispetto all'agonista? Si perde una qualche parte del Jiu Jitsu?
No, assolutamente no.
Praticare un'arte marziale non vuol dire fare sport.
anche perchè non tutti hanno il tempo per preparare una competizione dal punto di vista fisico. Oppure alcuni non sono più dei ragazzini e competere in Italia, per ora, vuol dire dovere confrontarsi con atleti molto più giovani.
La cosa però veramente importante è praticare sempre il combattimento.
con le giustte precauzioni, con il corretto stato mentale , ma certamente è importante allenarsi in un contesto di non collaborazione.
Quando si provano le tecniche il compagno ci aiuta ad eseguirle e questo è un bene. Ma una volta acquisito un certo automatismo è necessario cercare di applicare la tecnica quando il compagno cerca di impedircelo, ovvero nel combattimento, non si può imparare a combattere se non si combatte.
E' ai più giovanoi però che consiglio fortemente di praticare le competizioni.
Lo sport ha un ruolo fondamentale non solo per quanto detto prima , ma anche per l'importante ruolo educativo che riveste
Se non avessi fatto Jiu Jitsu quale arte marziale avrsti fatto e perché?
questa è una domanda a cui faccio veramente fatica a rispondere. Io ho sempre fatto di tutto per praticare jj.
Qui ti volevo!
non esisteva a parma una scuola di jj competitivo e quindi o andavo ad allenarmi nella altre palestre di karate o di judo , pur di imparare... e lo facevo sempre pensando a mio jj. Spesso andavo nelle altre città ad allenarmi, La Spezia, Genova , Savona, Cento, Torino ... non so neanche io quanti chilometri e quanti sacrifici ho fatto per la mia passione al JJ. Per risponderti vorrei dire che avrei voluto fare un po più di JJ se capisci il senso...
mmm...cioè?
Cioè credo che i miei allievi siano molto fortunati, possono fare jj tutti i giorni con una ventina di atleti tutte le volte. Ci sono esperti, principianti di ogni peso, donne, bambini.
Vogliono fare le gare? possono farle e il loro maestro è li 24h al giorno per loro..... io questo lusso non l'ho avuto.
Ok, adesso ho capito perfettamente.
Conoscevi già Try To Fight!? Se sì ti piace?
Sì avevo già avuto modo di leggere il tuo sito, devo dire che mi piace e lo trovo interessante!
Vuoi ringraziare qualcuno per il tuo percorso marziale?
Sono tantissime le persone che devo ringraziare, due su tutte.
La prima è Andrea Bersellini, campione e maestro di judo che mi ha allenato nel jjfs molti anni fa e devo dire che senza di lui sarei rimasto un promettente atleta. La seconda persona è Mauro Ricco, allenatore di Ginnastica Artistica e preparatore atletico grazie al quale anche recentemtne soo riuscito a migliorare le mie prestazioni sportive
Dove possiamo trovarti Marco? Quali sono i tuoi recapiti?
Il Jiujitsu center svolge le proprie attività dentro il centro sportivo e.negri nella salda del judo center.
per tutte le info www.jiujitsucenter.it
Marco è stato un vero piacere intervistarti nonché un onore. Ultima cosa ti hanno mai detto che somigli a Demian Maia?
ahahahah no direi di no mi piacerebbe molto assomigliargli per come lotta!

sabato 9 aprile 2011

Prova a difendere il prossimo

Quando ero adolescente, come capita a molti, avevo grandi progetti per l'umanità e fomenti politici d'altri tempi. Avevo sviluppato, proprio per questo mio attivismo, un senso della giustizia, o quantomeno una mia etica, che mi riempiva di orgoglio perché la vedevo spesso latitare nei miei coetanei. In quel preciso periodo dell'episodio che sto per raccontare, non praticavo arti marziali né effettuavo il mio tipico allenamento casalingo, che eppure aveva caratterizzato la prima fase della mia pubertà. Avevo ben altri progetti in quel periodo. Il pensiero di dovermi difendere era più legato a situazioni politiche che a quelle comuni. Trascuravo anche la mia preparazione fisica. Ero troppo impegnato a parlare come chi avesse ingurgitato un vocabolario e a scrivere articoli e articolini per improbabili giornalini dai contenuti velleitari.
Frequentavo il liceo e come capita un po' a tutti c'era in classe con me un ragazzo che incarnava alla perfezione il cliché del bullo. Strillava, raccontava balle inaudite, importunava tutti. Si percepiva la sua presenza a diverse decine di metri perché doveva, col suo rumoreggiare, marcare il territorio come fanno gli animali. Purtroppo nella stessa classe vi era un ragazzo con un lieve ritardo psichico. Non so esattamente quali problemi avesse. So solo che era innocuo, che era buono ed era divertente farlo ridere perché aveva una risata buffissima che era contagiosa. Il bullo lo maltrattava giornalmente, trovando sempre il modo per dargli fastidio e fargli prepotenze.
Eravamo nel cortile della scuola quel giorno, forse era ricreazione, o forse no perché c'era tutta la classe vicina senza le altre, forse era la fine dell'ora di educazione fisica ma non ha importanza. Il bullo iniziò il suo solito show su questo povero ragazzo con i soliti insulti, giochi maneschi e provocazioni. Tutti ridevano. Qualcosa d'improvviso degenerò e iniziò a prenderlo a schiaffi di brutto. Il ragazzo che subiva queste ignobili angherie urlava, non ricordo che cosa dicesse, ricordo solo che urlava con un tono di voce nuovo per noi, per me, un tono di voce che non avevo mai sentito da lui. La rabbia gli aveva fatto cambiare voce e gridando provava a fiaccare l'imbecillità umana. Ricordo che mentre tutti ridevano mi avvicinavo... volevo fare qualcosa. Ero in una posizione particolare non ero nel mucchio degli spettatori e non ero esattamente tra i due litiganti. Forse ho biascicato qualcosa tipo "lascialo stare" o cose simili. La scenetta finì, il pubblico si sparse, il bullo prese la via della classe. Sebbene avessi avuto il tempo e il modo di farlo non riuscivo a capire perché non ero intervenuto. Sarà stata forse la paura che quella abietta persona in fondo faceva anche a me. Ci rimasi molto male e più di tutto rimasi male del mio comportamento stesso. Avevo in bocca grandi parole, grandi ideali eppure non ero riuscito a disgregarmi realmente dalla massa di codardi che aveva assistito alla scena. Avevo solo fatto qualche passo avanti e detto qualche parola.
A distanza di più di una dozzina di anni, il dolore per quell'episodio è ancora vivido. Ancora il ricordo delle urla del povero ragazzo disagiato mi stringe lo stomaco e mie riempie di vergogna per me stesso e compassione per lui. Mi sono detto per anni che avrei dovuto saltare addosso al bullo perché comunque fosse andata avrei riportato comunque meno traumi di quanti ne riportò il povero ragazzo e sicuramente non avrei potuto soccombere come il suo essere inerme. Di lì in poi ho cercato di rifarmi, di cercare di non fare più finta di niente di fronte a scene simili e soprattutto di prestare sempre soccorso laddove fosse possibile.
Provare a combattere per gli altri credo che sia la massima espressione di qualsiasi forma di sentimento circa la giustizia umana.
Benché nel corso degli anni, anche grazie ai corsi di primo soccorso che ho frequentato, abbia prestato soccorso a diverse persone e forse addirittura salvato la vita di una di queste, benché quando possibile ho sempre partecipato attivamente ad aiutare le forze di Pubblica Sicurezza per varie vicissitudini che magari un'altra volta racconterò, il dispiacere e il dolore per quell'episodio è ancora vivo e forte in me. Forse più di altri che mi hanno toccato in prima persona.

Geoff Thompson e L'arte di combattere senza combattere, ovvero prova a non combattere

Geoff Thompson è un battafuori americano e marzialista. Autore del pregevole libro "l'arte di combattere senza combattere" è considerato un esponente di spicco degli studiosi della marzialità legata a situazioni reali. Introduce il suo libro, di cui scriverò più diffusamente, con una storia molto suggestiva, pregna di spunti e riflessioni.
Uno dei più grossi nemici del marzialista è l'orgoglio. Si sente chiamato a provare la sua arte anche fuori da contesti idonei, per dimostrare e dimostrarsi l'efficacia della sua pratica e della sua persona marziale. La storiella che leggerete è un'autentica sintesi dei vizi e delle virtù del marzialismo.
C’era una volta un famoso Aikidoka in Giappone che passava gran parte della sua vita a studiare la leggendaria arte di Ueshiba. Ma, pur dedicando la sua esistenza a tale arte, non aveva mai avuto la possibilità di metterla in pratica in una situazione reale, in un confronto con un aggressore deciso a fargli del male. L’Aikidoka aveva i suoi principi: egli sapeva che avrebbe creato del karma negativo se fosse andato deliberatamente a cercare una rissa al solo scopo di mettere alla prova le tecniche di Aikido. Pertanto doveva attendere che l’opportunità si presentasse. Ingenuo come era, egli non desiderava altro che di essere aggredito. Così avrebbe potuto dimostrare che la sua arte era potente non solo all’interno ma anche all’esterno dell’ambiente sicuro del Dojo. Più si allenava e più cresceva il suo bisogno di convalidare le conoscenze acquisite. Un giorno, mentre tornava a casa in treno, si presentò finalmente una situazione potenziale: un uomo ubriaco ed estremamente aggressivo salì sul treno e prese subito ad insultare gli altri passeggeri. “Ci siamo”, si disse l’Aikidoka, “questo il momento di dimostrare l’efficacia della mia arte”. Egli rimase seduto in attesa che l’ubriaco si avvicinasse. L’incontro pareva inevitabile perché l’uomo, avanzando lungo il corridoio, stava gridando insulti in faccia ad ogni passeggero. Man mano che si avvicinava urlava sempre più forte e diventava sempre più offensivo. Nessuno dei passeggeri osava neppure alzare la testa per il timore di essere picchiato. Eppure il nostro bravo Aikidoka non vedeva l’ora che toccasse a lui, di essere insultato. Avrebbe fatto vedere a se stesso, e a tutti, la validità dell’Aikido. L’ubriaco gli era quasi addosso: egli si preparò ad un combattimento all’ultimo sangue. Ma proprio mentre l’Aikidoka si accingeva a balzare in piedi, il passeggero nel sedile davanti al suo si alzò improvvisamente e salutò l’ubriaco in modo amichevole. “Ehi amico, cosa c’è che non va? Hai bevuto tutto il giorno al bar, vero? Sembri un uomo con dei problemi – dai, siediti vicino a me e racconta. Qui nessuno vuole prendersi a pugni”. L’Aikidoka guardava stupefatto mentre il passeggero, con immenso tatto e non poca furbizia, convinceva l’ubriaco a sedersi e a calmarsi. Entro pochi attimi questi stava parlando di tutti i suoi guai, si sgravava il cuore, con le lacrime che gli scendevano lungo tutto il viso. L’Aikidoka pensò “Questo è Aikido”. Capì in quel preciso istante che l’uomo con il braccio attorno alle spalle di quel disperato stava dimostrando l’Arte Marziale nella sua forma più alta.

giovedì 7 aprile 2011

Personalizza il tuo Jiu Jitsu

Una delle tendenze più infauste dell'essere umano è relativa all'omologazione. Per non perdere le proprie certezze spesso ci si affida a modelli precostituiti che pensiamo di sicuro successo. Le arti marziali ovviamente non sono immuni da questa tendenza. E' noto che ci fu un tempo nel Karate, tanto per portare un esempio, in cui tutti si chinarono di fronte alla bellezza estetica e la velocità del Point Karate delle competizioni. Accadde così che orde di praticanti anche se non avevano la minima intenzione di cavalcare i tatami di gara, appresero un Karate edulcorato, privato di tutti quelle tecniche antiche e non, che comunque sarebbero state di sicura utilità sia come cultura marziale, sai per l'idea del combattimento reale. Molti Karateka hanno ignorato per anni, ad esempio, che un calcio circolare può anche essere basso, proprio per quell'omologazione diffusa alle dinamiche competitive. Anche laddove non esistono competizione la medesima situazione può riproporsi. Nel Jeet Kune Do concepts ad esempio tutti hanno preso a modello il programma di Dan Inosanto, dando così un'eccessiva enfasi al combattimento armato e alle arti marziali filippine in genere. Bastone, doppio bastone, bastone e coltello, bastone e kris (spada), doppio coltello, cric della macchina e corriere dello sport arrotolato, bottiglia rotta e parolacce; accoppiamenti d'ogni tipo per una disciplina che doveva cavalcare l'idea del combattimento reale di strada e non essere una scuola d'armi.
Immancabilmente lo stesso accade nel Jiu Jitsu. I praticanti, mi pare, si pongono poco il problema di trovare tecniche ad uso e consumo del proprio irripetibile corpo quanto invece di scimmiottare alla meno peggio modelli vincenti. La guardia chiusa si vede meno nelle competizioni... via allora la guardia chiusa. Gli idoli del Jiu Jitsu saltano come grilli e cavallette... tutti a saltare come canguri allora, senza capire che quei salti nascondono una preparazione atletica impossibile a ripetersi e spesso anche farmaci dopanti. Si sparge voce che alcune tecniche siano migliori delle altre... e via, si lascia tutto per esperire questi nuovi comandamenti.
Ok, provare è il sale del marzialismo. Ma c'è di più in questo caso: un certo appiattimento e una certa mancanza di alternative. Mi piacerebbe vedere i praticanti personalizzare il loro Jiu Jitsu, consci che questo è, a detta di molti esperti, l'unica chiave possibile per praticare sempre con nuovi stimoli. Insieme ai praticanti mi piacerebbe che l'offerta didattica fosse più variegata. Mi piacerebbe sapere che una tale scuola sia orientata e fortissima nelle parti di difesa personale. Sarei lieto di andare a studiare presso un'accademia che ha il fiore all'occhiello delle proiezioni e proiezioni non scopiazzate dal Judo ma funzionali per portare a terra. Mi piacerebbe sapere che c'è un team specializzato nelle competizioni, sia come preparazione tecnica e fisica sia come assistenza diretta in gara. Sarebbe fantastico sapere che cavalcando il tatami di un dato insegnante si sapesse a priori che nella sua scuola si predilige un Jiu Jitsu lento, sinuoso, fatto di pressioni così come sarebbe bellissimo che ci fossero altri che prediligono un Jiu Jitsu per amatori puri.
Se non mi inganno mi sembra che l'offerta didattica italica sia spesso ispirata da altri, anche quando non se ne hanno i presupposti.
Sul sito di Demian Maia possiano leggere che il suo Jiu Jitsu è legato all'eccellenza in gara e così quello della sua scuola. Sul sito della Gracie Academy, come già ho fatto notare, si spiega che il loro è un Jiu Jitsu di difesa personale. Un rappresentante di Joe Moreira mi spiegò che il Jiu Jitsu proposto è sviluppato sia per l'idea del "vale tudo" sia per chi vorrà eventualmente competere. Alcune accademie americane propongono un Jiu Jitsu tradizionale accanto a quello di evoluzione brasiliana. Altre si caratterizzano per una chiara derivazione dalla lotta libera e per la pratica costante del no-gi (senza Kimono).
Credo fortemente che se il Jiu Jitsu vorrà superare gli inevitabili alti e bassi che la storia, il tempo, propone dovrà ampliare l'offerta didattica, perché se c'è una cosa vera dell'antico marketing targato Gracie è che il Jiu Jitsu è per tutti, e può essere praticato per fini diversi.

mercoledì 6 aprile 2011

Gli eroi del quotidiano. Arti marziali per passione.

A volte la delusione è troppo grande per continuare senza ridefinire il sistema dei valori. Quando sei oltraggiato da quelle persone che dovrebbero essere un riferimento marziale e forse umano devi vederti attorno e cercare quel che di buono c'è. Allora proprio pensando e ricostruendo la realtà circostante per renderla più accettabile vedi che un'isola felice c'è. E' quella dei praticanti, dei semplici praticanti. Quegli eroi col bilancio sempre in rosso, che hanno girato palestre come nomadi, che hanno sudato mille asciugamani senza nessuna medaglia o quasi. Tutti quegli eroi del quotidiano che indossata la divisa del lavoro, delle imposizioni delle società, corrono ad indossare il kimono, consci che in quella divisa, che apparentemente livella e omologa, possono essere semplicemente sé stessi. Eroi che lottano col traffico, con la loro morosa che non capirà mai bene del tutto perché tutti quegli sforzi per un "corso in palestra", con i colleghi che magari ghignano dietro le loro gesta. Un lato buono nelle arti marziali c'è. E' quello della gente comune, degli appassionati, di quelli che imparata la prima tecnica sono stati rapiti come da un incantesimo. Eroi sempre un po' infortunati, perché non sono campioni però vogliono fare come loro, i campioni, lottare come loro. E allora partono le spalle, le ginocchia, le dita dei piedi e delle mani, partono le costole, arrivano le tendiniti e si passa all'abitudine al dolore. Forse, o quantomeno amo pensare, che si fanno più male dei grandi campioni, proprio per quanto detto. Proprio perché una prestazione senza spettatori, né gloria, né riflettori, una prestazione anonima, eppure corretta e serena, vale tutto per costoro. Fanno Jiu Jitsu, Karate, Kung Fu, Boxe, Jeet Kune Do... poi si mischiano, si scambiano perché di fondo tutti sono appassionati di tutto. Persone lontani dalle cronache e lontani dal marciume delle polemiche, del doping, del fisico "aoh io non me so mai bombato"-"ma chi ce crede!!!!!!". Lontani dai giochi di potere. Così lontani che li subiscono passivamente, con fedeltà. Fedeltà verso la loro disciplina marziale, verso se stessi e la loro passione. Quando frequenti solamente loro, ti sembra che il problema delle arti marziali sia quello un po' borioso, o quello un po' invidioso o quello spaccone. Poi esci, vai da quelli che ti devono insegnare, quelli che hanno in mano il circo, quelli che conducono la macchina, quelle contornati da nani e ballerine e ignobili leccaculo e vedi che anche il più stronzo di loro è davvero innocuo perché in fondo, come tutti gli altri, vuole soltanto praticare.
Un praticante, sul web, mostra fiero la seconda striscia sulla cintura bianca
Sono, siamo, tutti lì con lo stesso fine: vedere se questo corpo che assolutamente non abbiamo scelto altrimenti avremmo preso modelli ben migliori può davvero fare qualcosa per noi, può davvero regalarci emozioni col suo confrontarsi. Mi vengono in mente mille nomi distillati da diversi anni di pratica, così a caso: Remo, Daniele, Andrea, Simone, Luca, Marco, Valerio, Gianfranco, Gian Paolo, Frankie, Lorenzo, Giovit. E ancora Salvatore, Bernardo, Cristiano, Marco, Luigi, Fabio, Asterio, Franco, Sandro, Marcello... Qualcuno insegna, qualcuno qualche alloro ce l'ha pure, qualche altrolo vorrebbe, altri praticano, studiano, si informano. Gente comune comunque. Le entrate, se ci sono, non compenseranno mai le spese e gli acciacchi li pagheranno per tutta la vita. Costoro hanno vinto, non so cosa, non so dove ma hanno vinto di sicuro, altrimenti non continuerebbero imperterriti. C'era un'ideologia che proponeva che la classe subalterna governasse. Se loro, gli eroi del quotidiano, potessero avere potere decisionale, avremmo un mondo marziale migliore. Avranno, avremo, un solo avversario sleale: il tempo. Che pare andare sempre di fretta e ci batterà lentamente. Ci lagneremo allora di domineddio che ci ha fatti effimeri come i fiori e bramosi di imprese come dèi immortali.

martedì 5 aprile 2011

Taijiquan, arte marziale e di benessere

Il Taijiquan (o Tai chi chuan) è probabilmente, tra gli stili di Kung Fu, quello di più netta matrice taoista. In occidente è sbarcato soprattutto come ginnastica dolce e nella stessa Cina fu snaturato dal regime comunista. I benefici sulla salute della pratica del Taiji appaiono confermati anche uscendo dalla medicina tradizionale cinese ed entrando in quella occidentale. La lentezza dei movimenti favorisce l'allungamento muscolare e, come nel superslow del body building, aumenta l'intensità totale dell'esercizio anche senza creare grossi sforzi articolari. Alcuni evidenziano anche benefici della pratica di questa arte marziale a livello di ossigenazione dei tessuti e del cervello, la quale incrementa per via dell'attenzione posta sulla respirazione e sulla propriocezione quindi sulla coordinazione.
A livello prettamente di combattimento le applicazione del taiji sono varie e legate indissolubilmente con l'idea di non opposizione e di armonia del movimento. Alcune sono legate al Qinna (o Chin na) ovvero l'arte delle leve e delle prese nel Kung Fu cinese. Il Taijiquan, a livello pratico quindi, sembra dare risposte a situazioni poco complicate, quali una spinta o una presa al polso. Il motivo probabilmente risiede nel fatto che questa arte ha almeno quattro secoli alle spalle. L'anzianità, se così vogliamo dire, dell'idea di confronto sottesa porta inevitabilmente alla risoluzione di alcuni conflitti in maniera a volte inattuale, ma forse non per questo non efficace. Dobbiamo pensare che queste antiche arti marziali non nascono con l'idea di affrontare supercombattenti, super atleti o cage fighters, ma le ordinarie tenzoni dell'uomo comune contrapposto ad un altro uomo comune. Nelle applicazioni del taijiquan, a prescindere da quale stile sia, troviamo in embrione concetti poi ripresi dal Ju Jitsu e dall'aikido, tanto è vero che come proposto nei video c'è chi ha provato ad unirli.
E adesso è giunta l'ora di vedere i video...





venerdì 1 aprile 2011

Intervista a Gian Paolo Doretti

Avete mai realizzato un'intervista per poi scoprire mentre intervistate che non state riprendendo? Sostanzialmente è quello che è successo a me con Gian Paolo. Dopo una mezzora di intervista, scopro l'intoppo e rischio di sentirmi male... come dirglielo che avevamo parlato a vuoto per trenta minuti? Inizio a temere per le mie articolazioni. Sebbene Gian Paolo sia un mite, mi immagino intrappolato sotto la sua monta mentre mi prende a cazzotti, opto allora per il piano F, ovvero il piano Fantozzi... "Come è umana lei signora telecamera". Esprimo il mio tremendo imbarazzo e do la mia disponibilità per la crocifissione in sala pesi, in sostituzione della sala mensa.
Fortunatamente Gian Paolo non mi ha proiettato per poi prendere la monta e via dicendo e con calma olimpica ha accettato la mia defaillance.
Uno speciale ringraziamento quindi all'intervistato per avermi sopportato e per non avermi finalizzato.
Nel complesso abbiamo realizzato oltre un'ora di chiacchierata/intervista. Le risposte precise e dense di spunti di Gian Paolo mi hanno impossibilitato nel fare una sintesi, perché mi sarei sentito in qualsiasi caso di omettere un pensiero di notevole interesse. 







Gian Paolo Doretti: Cintura Marrone di Brazilian Jiu Jitsu, Maestro di Grappling, studioso di arti marziali.
Sito internet: http://myroadtoblack.blogspot.com