mercoledì 30 marzo 2011

Nikefobia, ovvero la paura di vincere

Nikefobia è il termine tecnico che designa la paura di vincere. Essa non riguarda solo lo sportivo ma anche l'uomo comune che teme di "vincere" nelle sue battaglie quotidiane. Conosciuta per semplice esperienza da tutti coloro che hanno praticato una qualsiasi forma di competizione o che seguano un qualche sport, la nikefobia è un argomento interessante, se non indispensabile, per il marzialista anche se non agonista. Vediamone un po' le cause.
A livello prettamente pratico la paura di vincere può essere causata da diversi fattori. L'agonista teme che conseguire importanti vittorie lo sottoponga a una nuova e inaccettabile responsabilità come quella di dover mantenere il livello che si conseguirebbe qualora si vincesse una certa competizione. La paura di non riuscire a mantenere uno standard di prestazioni alto, la paura di deludere le nuove aspettative che si creerebbero, il timore di affrontare avversari sempre più forti, sono tutti fattori che possono portare al blocco delle prestazioni agonistiche e alla conseguente delusione di percepire il proprio livello incongruo con i risultati. Per l'amatore avere paura di vincere significa anche temere di infrangere alcune gerarchie consolidate che comunque deresponsabilizzano e offrono certezze. Battere il proprio compagno di allenamento più anziano in termini di esperienza o addirittura vincere il proprio istruttore, porterebbe a dover riconsiderare le gerarchie esistenti e conseguentemente a dover problematizzare l'insegnamento o ad assumere un ruolo per il quale non ci si sente psicologicamente pronti.
Se passiamo al livello esclusivamente psicologico la nikefobia è invece causata da sensi di colpa inerenti la propria aggressività, da problemi affettivi infantili. La vittoria quindi, secondo dottor Antonelli, può rappresentare la prova di una aggressività non più controllata. Usando la tripartizione della psiche Freudiana (Es-Io-Super Io), il Super Io, ovvero la parte della nostra psiche legata all'educazione, alle imposizioni dei nostri educatori, genitori, precettori, può, quindi, identificare la vittoria con risorse, quali l'aggressività, che ci hanno insegnato a biasimare e a nascondere.
Una problematica che può essere sistematica o momentanea, della quale comunque in molti hanno avuto esperienza pratica.

Abbiamo quindi spiegato con un termine forse nuovo, nikefobia, un'esperienza forse nota. La nikefobia quindi non è la potente repulsione di un no-global per una multinazionale ma una terminologia greca composta da "nike" vittoria e "phobos" ovvero paura. Le scarpe non c'entrano nulla quindi.

lunedì 28 marzo 2011

Quale arte marziale fanno gli animali? Il Jiu Jitsu ovviamente!

Ma gli animali come si comportano quando combattono? A quanto pare molto similmente a noi umani appassionati di Jiu Jitsu. Una divertente rassegna delle posizioni e delle finalizzazioni degli animali.

Monta piena

Side mount/100 Kg

Attacco della guardia a tartaruga

Preparazione per il double leg

Clinch!

Guardia aperta

Back mount

Sprawl!


Tentativo di uscita dalla monta

E' proprio il caso di dire mata leao!

Altro controllo dalla 100kg

evitare il passaggio di guardia

Guardia passata!

North South position!

Controllo della schiena e stabilizzazione
Fonte originale

Il Jiu Jitsu e la prossemica

Nella comunicazione, sia verbale che non verbale, la distanza dei soggetti coinvolti ha una sua importanza ed esiste una disciplina che studia proprio questo: la prossemica. Questa disciplina, coniata in ambienti antropologici e successivamente di interesse linguistico, ci aiuta quindi a trarre informazioni ulteriori circa la comunicazione a partire dalla distanza fisica in cui questa avviene. Nella codificazione più famosa esistono quattro distanze, ciascuna delle quali suddivisa in fase di vicinanza e di lontananza, che sono, dal più lontano al più vicino le seguenti: la distanza pubblica, la distanza sociale, la distanza personale e la distanza intima.
Per nostro interesse esamineremo le ultime tre. La distanza sociale, stimata in un range da 120 a 360 centimetri, è la distanza con la quale trattiamo affari impersonali, parliamo col capo, con l'istruttore di qualcosa in pubblico, con un superiore o con un venditore porta a porta indesiderato. La distanza personale, stimata dai 40 a 120 cm, è quella in cui con gli arti possiamo toccare la persona con la quale interagiamo. Sottolinea Ugo Volli, semiologo, è anche la distanza formale della coppia e conseguentemente della gelosia se qualcuno la invade in presenza di un partner. Infine abbiamo la distanza intima, che trova la sua massima espressione nell'amplesso e nella lotta, sempre secondo il Dott. Volli.

Guardia aperta
Mi venne detto una volta da una persona: "l'efficacia nel Jiu Jitsu in merito alla difesa personale risiede nel fatto che qualsiasi persona entra in agitazione già se gli si appoggia una mano sulla spalla". Proprio di questo volevo argomentare. Una delle prove più incontrovertibili dell'efficacia del Jiu Jitsu nello smaliziare una persona al confronto fisico risiede proprio nell'analisi prossemica della lotta di questo stile. Nel Jiu Jitsu si vive in continuazione un confronto nella distanza più intima. Indicatori di questa distanza, sempre secondo gli esperti di comunicazione, sono il fatto che possiamo sentire il respiro, possiamo percepire la temperatura corporea, possaimo sentire gli odori personali con una continuità e una intensità non usuale. Se questa distanza viene infranta da uno sconosciuto l'individuo affronta uno stato di profondo panico. Lo abbiamo visto tutti nei video delle sfide dei Gracie. I rivali non sembravano soffrire tanto le tecniche quanto il fatto stesso di avere sopra, avvinghiato, un uomo. Da qui partono reazioni irrazionali, quali la smania di provare a rialzarsi, la smania di allontanare il pericolo per riportarlo ad una distanza consona ai nostri usi. E da qui parte anche quell'inesorabile, inutile, dispendio di energie che porta alla sconfitta.

Chi fa Jiu Jitsu e ha un minimo di onestà intellettuale, sa che le posizioni della lotta sono, per usare un eufemismo, molto evocative. Vengono espresse forme corporee inequivocabili di dominanza, e con esse vengono risvegliate le paure del "cervello rettile" dell'uomo. Al di là delle tecniche, delle soluzioni, delle strategie utili alla difesa personale, il lottatore ha già in sé un bagaglio di esperienza nelle peggiori situazioni possibili e probabilmente conosce la distanza di confronto umano più realistica quindi frequente. Vedendo gli incontri di Boxe, ad esempio, possiamo vedere, stando agli indicatori prossemici, che i pugili rimangono sempre nella distanza personale e non attraversano mai quella intima. Quando lo fanno vengono fermati, anzi, talvolta arrivano alla distanza intima proprio per fermare il confronto. Scambiarsi pugni a una distanza piuttosto fissa, canonizzata dalle esigenze sportive, non è molto realistico. Se questo accade, in una situazione reale, o accade per un tempo davvero breve o si oltrepassa questa distanza, arrivando presto alle prese e alla lotta, magari per poi ritornare indietro, ma comunque, se il confronto dura oltre la manciata di secondi, lì si arriva, li si passa. Nel contesto delle MMA invece la situazione di guardia, di stallo in piedi, ha una distanza maggiore che nella boxe, e nell'analisi prossemica si rileva quella che gli studiosi definiscono una distanza di preparazione alla fuga. Effettivamente anche vedendo il video di Machida nell'articolo precedente o analizzando lo sprawl e tutte le tecniche per evitare la lotta appare chiare che la distanza di due persone che si fronteggiano per un confronto di MMA deve essere un po' più lunga proprio perché si può accorciare di più... paradossale ma verificabile. Altro dato sifgnificativo è che nelle MMA, al contrarie della Boxe, il confronto in piedi è molto più frazionato e le fasi di stasi e di azione sono nette e non esiste quel continuum che è presente del pugilato.
Ora passiamo ad un altra fase dello stesso discorso: alzi la mano chi da praticante di Jiu Jitsu non ha mai sentito qualche uomo nobile e colto affermare che il Jiu Jitsu è da gay. Ovviamente chi proferisce contenuti del genere lancia un grande boomerang con su scritto coglione e si qualifica come tale. Ma la stessa qualità di coglione fa sì che abbia una psiche poco strutturata e di facile interpretabilità. La persona ci sta dicendo, nel suo modo grottesco, che si sta lottando con distanze e posizioni per lui inaccettabili e di qui, ancora, sappiamo che la sua reazione in queste distanze e posizioni sarebbe sconsiderata e densa di terrore.
Col suo forzarci ad un contatto legato alla distanza intima il Jiu Jitsu aiuta a superare le paure più nascoste e infine ci aiuta nell'accettazione dell'altro. Dover sopportare il sudore, i cattivi odori, il contatto fisico e via dicendo, ci abitua al rispetto dell'essere umano in una delle sue forme più naturali: il gioco e la lotta.
In conclusione, riprendiamo il, certamente letterato, galantuomo che afferma che il Jiu Jitsu è per froci. Tempo fa un tizio mi scrisse in via telematica "sì sì continua a rotolarti con quei maschioni". Doveva essere una sorta di presa in giro. Ebbene, da questa presa in giro deduciamo un po' di omofobia e dall'omofobia stessa possiamo ipotizzare la terribile attrazione recondita che questi tizi hanno per i suddetti maschioni.

sabato 26 marzo 2011

Lyoto Machida, unconventional fighter

Proiezione tradizionale eseguita da Machida nel video.
Boxe, Thai Boxe, Wrestling e Jiu Jitsu. No, Karate e per di più Karate Shotokan. Nella sua intervista a Budo del dicembre scorso, Machida confessa la sua ritrosia nell'accettare le Fab Four, ovvero le discipline con le quali ho aperto. Pilastro standard dell'allenamento delle MMA, le quattro discipline regine della preparazione per i fighters a Lyoto non piacevano proprio. Ha provato, racconta, ma alla fine si ritrovava sempre a combattere col suo Karate. Lyoto Machida è nato con il Karate Shotokan e le competizioni di Point Karate, dove ha anche vinto un campionato panamericano. Ancora oggi girano diversi video su internet delle sue gare. I maligni, me compreso, pensavano che in fondo, tirasse colpi come la maggior parte degli altri fighters e che la storia del Machida Karate fosse un po' una trovata sia commerciale sia per fare il personaggio. Ad una attenta analisi, invece, Machida porta nella gabbia un Karate davvero riconoscibile con le dinamiche del Point Karate, anzi quasi "antico". La guardia larga e lunga, le sue entrate in controtempo, addirittura il richiamo del pugno opposto a quello tirato, fino a proiezioni tradizionali delle arti giapponesi e alle tipiche fughe di gambe delle competizioni.
Gyaku Tsuki da manuale
Lyoto spiega bene che non sopportava la fama del Karate come disciplina inefficace. Non manca nemmeno di spiegare le differenze tra il Karate Shotokan/Machida e il Kyokushin. Sostiene che il primo sia fatto di astuzia, velocità e vivacità mentre il secondo sia una disciplina di "sopportazione".
Dicono che solo gli imbecilli non si ricredano. Beh, se così è, posso sentirmi più leggero nel rivalutare il Point Karate e in generale il Karate degli stili non a contatto pieno, perché davvero vedendo Machida si vedono chiaramente le dinamiche di questa disciplina. E sono pure vincenti. 
Pugni con le caratteristiche tecniche del più tradizionale Karate, spazzate come nelle competizioni, footwork fulmineo... 
A mio giudizio non è stupefacente che con queste dinamiche si vinca nelle MMA, perché ho profondo rispetto per tutte le arti marziali. Credo che sia stupefacente invece, e lo ricordo benissimo, che i soliti esperti, tromboni, santoni, quelli che la sanno lunga ma lunga davvero, pensavano che quelle tecniche non avrebbero mai trovato spazio nelle MMA e tanto meno avrebbero potuto vincere. 
Amo gli esperti anche per questo. Vengono puntualmente smentiti.



venerdì 25 marzo 2011

Il tecnico e il campione

In molti sport è quasi un'ovvietà, come nel calcio. Essere un grande allenatore non comporta l'essere stato un grande campione, anzi. Due per tutti Sacchi e Mourinho: non hanno mai giocato a calcio davvero eppure sono considerati allenatori rivoluzionari seppure per diversi motivi. Nello stesso modo grandi giocatori hanno fallito la carriera di grande allenatore. Essere stato un ottimo atleta non garantisce nulla sotto il profilo dell'insegnamento puro. Anzi stando all'opinione di persone più qualificate di me sembrerebbe il contrario. Leggiamo cosa dice la Dottoressa Rosa Maria Di Stefano nel suo libro "Psiche marziale":
Le doti di un esperto combattente non necessariamente coincidono con quelle di un buon istruttore.Recenti ricerche hanno dimostrato come campioni ad alti livelli non erano altrettanto meritevoli nell'interessare, condurre e mantenere nel tempo un gruppo di allievi. Infatti, le qualità necessarie all'insegnamento, che si basano principalmente sulla capacità d'ascolto e accoglienza e sostegno dell'allievo, sicuramente sono poco sviluppate nell'agonista vincente, il quale piuttosto che preoccuparsi di comprendere l'altro, deve concentrarsi sulla capacità di affermarsi. Ovviamente non è una regola definitiva.
Continuando nella lettura possiamo arguire che il campione è probabilmente possessore di alcune qualità difficilmente spendibili nell'insegnamento: alta concentrazione su se stesso, grande competitività, prestazione legata allo stimolo personale, disinteresse verso dinamiche di formazione poiché è piuttosto teso verso dinamiche di assimilazione tecnica.
Proprio la conoscenza di questa realtà, mi ha portato su questo sito a osannare coloro i quali sono grandi campioni e eccelsi insegnanti.

Negli ultimi tempi ho seguito con attenzione le vicende di alcuni personaggi che a quanto pare si sono attribuiti titoli, gradi, campionati del mondo, glorie sportive di ogni genere, senza possibilità di avere il minimo riscontro circa la veridicità di questi dati.
Ebbene probabilmente credendo di assicurarsi proseliti grazie a palmares discutibili, questi personaggi oggi avranno pure questa amara sorpresa. Basta fare qualche ricerca per sapere che la mente del campione potrebbe essere inutilizzabile su un piano didattico, affermando così l'inutilità di cercare grandi carriere sportive per trovarsi un qualificato insegnante. Tanto più se la carriera è pure falsa.

giovedì 24 marzo 2011

Essere più orientali degli orientali

Sarà una mia convinzione bislacca. Sarà che in fondo sono uno scettico di natura. Ma sono profondamente convinto che in molti casi i nostri istruttori di arti marziali eccedano in zelo e si prestino a pratiche più esotiche di quelle praticate nell'esotica patria della disciplina. Sono convinto che l'aria di segretezza, di rivelazione, di conoscenza piramidale che porta all'illuminazione sia una nostra interpretazione, magari pure basata su qualche film, che non ha niente a che vedere su ciò che realmente accade in Cina. Così come da ciò che vedo sul web in Cina, mi pare, che negli allenamenti non si usino sempre abiti tradizionali, cosa che noi qui invece è d'obbligo in molti corsi.
Scimmiottiamo pateticamente le pratiche orientali, atteggiamento che, come diceva Francesco Guccini, da noi spesso nasconde solamente vuoti di pensiero. Laddove manca un'identità si prende a prestito quella che si immagina sia del lontano oriente. La impoveriamo, la occidentalizziamo, passivamente però, la depauperiamo dei contenuti più alti aumentando invece le formalità. Vedo filmati di dojo giapponesi e sono convinto che urlano un decimo dei nostri, foneticamente, "Oss". Sono convinto che si sentono meno Ken Shiro o meno Ryu del videogioco "street fighter". Vedo orientali che apprendono serenamente, in un clima talvolta disteso e ridente e vedo qui da noi insegnare col cipiglio del sergente istruttore di "Full Metal Jacket" pensando che gli orientali facciano così. Popolo di attori, di macchiette, di caratteristi che gioca al giapponese, al cinese, al coreano, senza averne conoscenza antropologica.
Leggiamo l'hagakure e pensiamo di sapere tutto sui samurai, facciamo un viaggio in oriente e torniamo che facciamo finta di sapere tutto di tutto sugli orientali, quando in realtà non conosciamo neanche gli italiani.
Draghi, dragoni, mantidi, tigri...e quanti cani.

lunedì 21 marzo 2011

Concentrazione, respirazione e meditazione per le arti marziali

Fare chiarezza su questi tre temi in un singolo post è impossibile. Probabilmente lo è anche con trattazione ancora più ampia. Se questo è vero, proviamo a dare al lettore qualche consiglio molto pratico su temi delicati, spesso incompresi o ad uso per gli abracadabra dei maestri, che in realtà ne sanno meno del vostro postino.
Concentrazione. Durante il combattimento o la pratica marziale non sempre è facile rimanere concentrati. Ambienti rumorosi, l'affiorare di sentimenti competitivi e la conseguente dimensione di tensione, ci  impediscono di rimanere focalizzati correttamente. Ma cosa significa rimanere focalizzati correttamente? vediamo un po' qualche scuola di pensiero.
Tutti noi conosciamo la barzelletta didattica del millepiedi, che quando si chiese come faceva a coordinare il movimento, non seppe più camminare. Esperienze una volta intime, ormai divenute evidenza scientifica, come la trance agonistica ci danno una prima panoramica di uno stato positivo mentale. L'azione del combattimento, non è più un fatto legato alla nostra razionalità, alle scelte ponderate, ma diviene un flusso ininterrotto, privo di pianificazioni intermedie. Ciò significa che chi entra in trance agonistica vive i seguenti stati:
Concentrazione totale sul compito: un alto grado di concentrazione in un limitato campo di attenzione (la persona non ragiona su passato e futuro ma solo sul presente).
Perdita dell’autoconsapevolezza: il soggetto è talmente assorto nell'attività da non preoccuparsi del suo ego.
Distorsione del senso del tempo: si altera la percezione del tempo. Non si rende conto del suo scorrere.
Retroazione diretta e inequivocabile: l'effetto dell'azione deve essere percepibile dal soggetto immediatamente ed in modo chiaro.
Piacere intrinseco: l’azione dà un piacere intrinseco, fine a se stesso.
Questi sono i markers della trance agonistica, desunti dalla codificazione di Csikszentmihaly, che ho ritenuto pertinenti con lo sport.
Per arrivare a questo stato in ambito di programmazione neuro linguistica si consiglia spesso l'utilizzo di ancore. Potremmo definire le ancore come gesti, sensazioni, nostre immaginazioni, azioni, che si associano inesorabilmente ad uno stato emotivo. Cos'è il saluto nelle arti marziali orientali se non un'ancora? Un modo per suggerire alla nostra mente che inizia un tipo di esperienza che necessita di un certo stato mentale e un modo per sancirne la fine. Ma l'ancora può essere anche un toccarsi il naso, un modo di respirare, o lo scambiarsi il saluto prima dello sparring. Esistono esercizi appositi per legare uno stato d'animo ad una azione mentale o reale.
Nella cultura giapponese la concentrazione viene descritta con due termini: mushin e zanshin. Ci limiteremo a dire che questi termini (come riportato nel manuale dei Maestri Folgori e Cervini) designano uno stato mentale di concentrazione sul tutto, senza privilegiare nulla.
La respirazione. La respirazione è una di quelle pratiche che più spesso ci danno a bere, con suggerimenti privi d'ogni fondamento, insegnanti incompetenti. 
La tecnica di respirazione più nota potrebbe essere, visto il suo svariato campo di uso, quella diaframmatica. La respirazione diaframmatica, per chi come me ha studiato Training Autogeno con qualificato dottore, è nota e di facile utilizzo. Non sempre lo è perché si è irrimediabilmente viziato su una respirazione toracica. Vediamo di sintetizzare. Per scoprire la respirazione diaframmatica possiamo fare un semplice esercizio. Sdraiarci, porre le nostre mani sull'addome, e respirare profondamente percependo la dilatazione dell'addome causata da questo tipo di respirazione. Già questa semplice pratica è rilassante. La possiamo usare dunque in procinto di un evento stressante. Durante il combattimento, per chi fa sport ove si colpisce, la tecnica di respirazione è nota e corretta. Espellere l'aria durante l'esecuzione attiva dei colpi. Insieme all'espulsione coatta dell'aria alcuni suggeriscono una vocalizzazione, ovvero un suono, una soffio di voce, che esce con l'aria. Questo è il senso della pratica del Kiai (volgarmente, l'urlo delle arti nipponiche).
Rickson Gracie
Chi è a corto di tecniche sensate ci consiglia di nascondere la nostra respirazione. Niente di più errato! La respirazione dovrebbe essere sempre automatizzata e soprattutto mai limitata. Peraltro questo suggerimento, espresso col fine di non far percepire la stanchezza all'avversario, diviene uno dei tanti ostacoli circa la naturalezza del gesto marziale che conseguentemente ci impedirà la trance agonistica. Semmai il consiglio dovrebbe essere opposto, ovvero essere in grado di percepire la stanchezza dell'avversario che verosimilmente può non essere edotto sulle tecniche di respirazione e capire quando sta respirando affannosamente e quando invece gestisce il suo ossigeno. Una tecnica utile anche per chi lotta, da utilizzare anche solo per brevi periodi è la respirazione percussiva. Questo tipo di respirazione consiste nel frazionamento forzato, diaframmatico e secco, degli atti respiratori. Possiamo dunque dividere l'inspirazione in 2-3 o 4 colpi secchi e fare altrettanto con l'espirazione. Altresì possiamo inalare normalmente e espirare frazionando. Diverse persone che hanno fatto sparring con Rickson Gracie riferiscono, come riportato in link "respirazione percussiva", come Rickson sia estremamente rumoroso nella sua respirazione. Talvolta con un po' di attenzione si percepisce anche nei suoi incontri. Fate pure rumore quando combattete anche se vi hanno consigliato di "tacere" la vostra respirazione, se l'avversario pensa di aver capito qualcosa sul vostro stato per questo avrà un'amara sorpresa, Rickson garantisce.
Alla fin dei conti possiamo dire, che andrebbero evitate le apnee prolungate, che al massimo dovrebbero essere un momento durante uno sforzo massimale (utile a tenere la giusta pressione sulle vertebre) e consigliare di respirare spontaneamente a chi non abbia pazienza di provare su sé stesso o non conosca realmente tecniche di respirazione. Una respirazione spontanea è migliore di una forzata e improvvisata.
Meditazione. Parleremo qui di meditazione con un approccio un po' differente da quello usuale. Con questo termine designeremo quelle tecniche esterne al combattimento vero e proprio per migliorare il nostro "mental game". Una prima tecnica è quella della visualizzazione. Visualizzare produce un'esperienza estremamente significativa, simile a quella reale. Visualizzarci sia in prima persona (associati) che dall'esterno (dissociati) mentre eseguiamo delle tecniche o mentre combattiamo è un allenamento vero e proprio. Uno studio riportato nel libro pnl per lo sport dimostra questa teoria. Due gruppi di giocatori di basket furono allenati alla pratica dei tiri liberi. Uno con la pratica reale, l'altro si allenò con la visualizzazione. I risultati mostrarono gli stessi miglioramenti per entrambe i gruppi. Altra tecnica particolarmente utile per chi studia difesa personale è quella suggerita dal Dott. Viscione, qui recensito, della visualizzazione pubblica. Consiste nell'immaginare una nostra azione in una situazione reale, ovvero mentre magari camminiamo per strada e ci viene incontro una persona. Immaginiamo dunque, per esempio, un'azione della persona che viene verso di noi e una nostra reazione. Occhio a non picchiare nessuno però, sarà poi difficile spiegare che stavate visualizzando!
Un modo di meditazione in movimento potrebbe essere il Taijiquan o l'esecuzione delle forme proprie della nostra arte marziale o, ancora una camminata, nella quale riviviamo le tecniche che vogliamo migliorare.

sabato 19 marzo 2011

Jiu Jitsu training (open space)

Altro allenamento col Mestre Rogerio Olegario, finalmente in palestra. Ovviamente le possibilità di movimento più ampie rendono il tutto più divertente. Devo dire che però nel tatami casalingo si sviluppa una particolare abitudine a muoversi sullo stretto, chissà, magari potrà essere utile. Un clima di spensieratezza e di gioco, che unito al rispetto crea, a mio giudizio, una marzialità profonda, a misura d'uomo.

giovedì 17 marzo 2011

Il comportamento del marzialista

Tutti i marzialisti in fondo sono concordi. Chi pratichi le discipline del combattere è chiamato anche ad una condotta di vita particolare. Il marzialista collerico, sbruffone, arrogante o peggio violento, prepotente, viene subito visto come un misero, una persona che non ha capito l'essenza di ciò che si pratica. Anche quelli che non accettano nessuna responsabilità, anche quelli che vogliono solo praticare senza grilli per la testa, lo ammettono. Anche i super sportivi, gli ultra agonisti, i competitori, anche quelli persi nelle classifiche, nei ranking e nelle categorie. Tutti lo sanno, tutti, difatti nessuno lo nega. Essere un marzialista di qualsiasi livello è una reponsabilità. Una persona non può contemporaneamente praticare qualcosa che reputa efficace nel combattimento e non sentire di dovere un certo rispetto a questo e per questo. Se le arti marziali hanno ragione di esistere è per la loro efficacia. Chi le pratica deve essere retto, non può dimostrare di usare questa arma contro la pace degli altri. Al contrario, deve sempre dimostrare che è un'arma di pace, a propria difesa, che non prevede offesa e che prevede, addirittura, il soccorso altrui. Tutti coloro che ho incontrato in questo mondo, in questo ambiente non negherebbero mai che una disciplina marziale formi l'individuo. Allora mi chiedo: alla fine è vero? Cosa si è formato quando tutti, e tutti davvero, senza esclusione di nessuno, siamo sempre pronti a porre la marzialità come minacciosa se capita, come sfida, come misura della nostra grandezza. Così come siamo sempre pronti a sminuire le fatiche degli altri con cattiverie sull'essere umano che solo il marzialista pronuncia. Si accusa di non essere uomo, di non avere le palle, si accusa di non essere in grado di combattere, di essere una pippa, di essere senza fiato, senza muscoli, senza forza, senza...
Se davvero il marziale è legato ad un piano etico, perché questo accade? Perché in tanti, troppi, maestri, insegnanti, tecnici, non riescono, dopo che li hai pagati, per l'ora, per il mese, per l'associazione, per l'annuale, dopo che gli hai reso onore con la gentilezza, con il rispetto, con i fatti e le parole, non riescono al primo sentore di dissapore a non mandarti una frecciata mediocre, di contenuti bassissimi, non riescono a sentirsi in colpa perché hanno fallito la loro missione, ovvero la divulgazione, ma anzi accusano te di non essere in grado di stare con loro?
Siamo tutti sempre pronti a dire che le arti marziali ci rendono migliori. Salvo poi cercare questa applicazione nella vita.

Recensione Libri TTF: Wing Tsun - il Tao in azione

Di modi per scrivere Wing Chun ne esistono svariati, quello usato nel libro (Wing Tsun) è solo uno dei tanti. Normalmente Wing Chun è la dicitura generica e enciclopedica, le altre grafie sono spesso usate per distinguersi da associazioni già esistenti o al contrario proprio per suggerire una parentela con una di queste. Marzialisti esperti, aggiornati, duri e puri, ci avvisavano, diversi anni fa, di quanto questo stile di Kung Fu fosse tremendamente efficace, perché faceva tanto fico. Oggi marzialisti esperti, aggiornati, duri e puri, parlano volentieri male di questo stile lamentandone l'inefficacia, perché fa tanto fico. Il Wing Chun, in genere, è una disciplina tradizionale che incontra le moderne tematiche di difesa personale e proprio per questo motivo si sostiene che alcuni corpi di polizia o militari ne fruiscano. Il libro di Sifu Victor Gutierrez cavalca proprio questi temi caratteristici e sapientemente fusi. Nell'ottica del libro la tradizione marziale incontra a pieno titolo le esigenze dell'autodifesa e in diversi paragrafi l'autore proverà a convincerci di come un'arte marziale antica e le sue pratiche rituali possano trovare spazio nel XXI secolo, a volte riuscendoci a volte meno. Il lettore viene inoltre introdotto al chi sao, esercizio caratteristico dello stile usato per sviluppare la sensibilità tattile e viene introdotto ai principi e alle strategie peculiari della disciplina. Noioso nell'esposizione della pratica del chi sao, quest'ultimo viene trattato come una parte da recitare, una cosa da imparare a memoria, con anche lunghe sequenze prestabilite che violano, in ultima analisi, le premesse stesse dell'esercizio chi sao. Gradevolissimo invece in diversi paragrafi: in quelli dedicati alle logiche strategiche peculiari del Wing Chun, che vengono spiegate senza possibilità di equivoci, e in quelli che trattano della biomeccanica di questo stile. Doveroso, visto l'auto-attribuirsi efficacia in merito, lo spazio dedicato alla sola difesa personale. Nel complesso un buon testo, che sembra solamente soffrire degli errori tipici di diversi ambienti legati al Wing Chun: fanatismo, autoreferenzialità e una pretesa di scientificità a volte fuori luogo.

Autore: Victor Gutierrez
Titolo: Wing Tsun Chi Sao - il Tao in azione
Casa editrice: Jute Sport

lunedì 14 marzo 2011

Regolamenti per confrontarsi

Una prima difficoltà per chi vuole davvero provare a combattere è trovare un regolamento per farlo. I regolamenti esposti saranno analizzati brevemente e secondo le caratteristiche evidenti, senza entrare nel dettaglio. La lista sarà utile a chi vorrà provare nuovi modi di confronto, conoscere nuove discipline, migliorare il proprio cross training.
Vi prego di segnalarmi errori o imperfezioni tenendo conto che la maggior parte di questi regolamenti subiscono variazioni a secondo dalla federazione o del singolo incontro.

Regolamenti sportivi di arti marziali e sport di combattimento. Caratteristiche salienti.

  • Judo: proiettare l'avversario per ottenere punti.
  • Karate: calci e pugni dalla vita in su. Azione interrotta ogni punto. I punti sono assegnati in base alla qualità tecnica e al bersaglio. No contatto pieno.
  • Boxe: tecniche di braccia dalla cintura in su
  • Full Contact: calci e pugni dalla cintura in su.
  • Kick Boxing (Low Kick Rules): calci e pugni. Permessi calci sulle gambe.
  • Thai Boxing: come sopra, con la possibilità di ginocchiate e clinch. Talvolta presenti gomitate che sono, tuttavia, escluse dalla maggioranza dei tipi di competizione.
  • K1 Rules: calci, pugni e ginocchiate. No trazionamento cervicale tramite clinch.
  • Semi-contact: calci e pugni dalla cintura in su. Azione interrotta ad ogni punto che varia a seconda del bersaglio colpito e se di  salto o meno. No contatto pieno.
  • Brazilian Jiu Jitsu: Finalizzare l'avversario con soffocamento o leva articolare, o prendere punti guadagnano specifiche posizioni al suolo, o proiettando o ribaltando dal suolo. Nessuna percussione permessa (pugno, calcio, ecc)
  • Submission Wrestling:. Come sopra solamente che non è indossato il "gi"(kimono), alcune differenze nei punti assegnati, permessa anche finalizzazione per pressione dolorosa.
  • Lotta libera: schienare l'avversario per vincere, o proiettarlo e assumere determinate posizioni per ottenere punti. No sottomissione, no percussione.
  • Lotta Greco-Romana: come sopra, non è permesso l'uso delle gambe per proiettare o squilibrare, la proiezione deve avvenire usando un fulcro dalla vita in su.
  • Taekwondo: analogo al karate, contatto pieno, KO.
  • Sanda: calci anche low-kick, pugni, limitazioni nel clinch, proiezioni d'ogni tipo. No ginocchia o gomiti.
  • MMA: consentiti in piedi calci, pugni, gomiti e ginocchia, clinch e proiezioni di ogni tipo. A terra a seconda della federazione possono essere limitate ginocchiate e gomitate. Possibile sottomissione. Si usano guanti specifici. KO.
  • Ju Jitsu Fighting System: divisione del combattimento in tre fasi, che sono rispettivamente simili a karate, judo, e brazilian Jiu Jitsu. No contatto pieno, vittoria per punti.
  • Ko Karate/ Full Contact Karate: non sono consentiti pugni e azioni di braccia al viso. Calci anche low, ginocchiate. Contatto pieno, KO.
  • Pancrase Rules: no colpi a pugno chiuso al viso solo di palmo, a mano aperta. Per i resto analogo alle MMA sebbene con maggiori limitazioni dell'uso dei colpi a terra.
  • Shoot Boxing: simile MMA, si usano guantoni da boxe.
  • Kudo Daido Juku: analogo al regolamentdo di MMA, con le eccezioni della presenza del "gi", di un caschetto integrale con visiera, e di appositi guantini. Presente lotta a terra con percussioni. Contatto pieno.
  • Koshiki/ Bogu Karate: simile a sopra con aggiunta di corpetto protettivo.

sabato 12 marzo 2011

Torniamo al provare a combattere

Provare a combattere... anche meno di così va bene...
Torniamo un po', dopo tanto divagare, all'argomento centrale del sito ovvero il provare a combattere. Questo sito è nato in virtù di alcune considerazioni. Ci sono orde di praticanti, senza offesa per nessuno, che vengono particolarmente dal Kung Fu, da quella parte delle arti marziali giapponesi imbastardita dalla modernità e dal commercio come gli stili di Karate Point o alcuni di Ju Jitsu tradizionale, dai corsi che si prefiggono come base la difesa personale, che effettivamente, in molti casi ma non tutti, non si sono mai concessi scambi liberi delle proprie abilità combattive. Nella stessa maniera ho qui raccontato di molti praticanti, caduti nelle trappole di molte palestre generaliste, che si sono cimentati in corsi di sport da combattimento come la Boxe, la Kick Boxing e via dicendo facendo in realtà un corso di aerobica coi guantoni. Nello stesso modo ci sono persone che pur praticando discipline ove sia possibile confrontarsi sentono negativamente la tensione dell'ambiente, la cattiveria a volte fuori luogo dell'avversario, la cattiva gestione di molti eventi sportivi, un agonismo altissimo fin da livelli parrocchiali. Anche per costoro nasce il sito.
Nella mia esperienza di osservatore e praticante ho visto spesso questo divario, apparentemente incolmabile: da una parte, impavidi, coloro che si confrontano anche duramente, anche a contatto pieno, nelle più svariate discipline e dall'altra le tre tipologie che dicevo, quelli dei corsi tradizionali e della difesa personale, quelli delle palestre dei corsi tipo Fit-MMA e quelli che non si ritrovano nelle attuali formule codificate per il confronto. Entrambe gruppi di marzialisti eppure divisi dal solco dell'esperienza pratica. Persone, dunque, che pur studiando spesso le stesse tenciche, le stesse strategie, le stesse abilità motorie degli agonisti, non hanno in comune l'abilità e la conoscenza del confronto. Questo non accade per una qualche forma di mancanza, di deficienza, ma per pura assenza anche del semplice tentativo di confrontarsi.
C'è da dire poi che l'esasperazione della maggior parte dei contesti sportivi, rende difficile l'approccio ad una forma "istituzionale" di confronto a chi non è più uno spensierato fanciullo neopantentato. Perdere un camion di chili, allenarsi 4, 5, 10 volte a settimana, rimanere in allenamento per un grande periodo dell'anno, far fronte agli inevitabili infortuni, sobbarcarsi le spese degli spostamenti, la spesa degli integratori qualora necessari, il dover cambiare anche abitudini di vita, non è spesso possibile per chi inizia ad avventurarsi oltre i trenta o ancora più, a meno che non si viva di arti marziali o a meno che non si sia iniziato a costruire le qualità necessarie fin da giovanissima età.
Questo solco esperienziale diviene poi grottesco nei casi di quei Sifu o Sensei o Guro o Head Instructors che insegnano senza avere mai avuto esperienze di scambio libero.
Come penso sia chiaro nessuno chiede di vedere sangue o occhi girati, ma semplicemente di avvalersi degli strumenti di sempre più facile reperibilità per proteggersi e trovare piano piano la giusta intensità.
Uno dei motivi per cui sono stato rapito dal Jiu Jitsu brasiliano è proprio questo: la possibilità di confrontarsi, con tecniche spesso di efficacia comprovata, senza dover per forza rinunciare alla propria salute e il potersi confrontare quasi sempre in un ambiente rilassato ma senza per questo risparmiarsi.
Questo quindi è il messaggio: proviamo a colmare il divario tra chi si pesta sul ring o altro e chi ha scelto (o la vita ha scelto per lui) diversa pratica. Proviamo a scovare nei regolamenti, nelle forme di confronto quelle più adatte al nostro scopo.
Come sempre vi invito a contattarmi anche per chi non è di Roma per scambiare le vedute marziali e provare a combattere.

venerdì 11 marzo 2011

Cose da marziano e marzialista

A mio giudizio la didattica delle arti marziali in Italia versa in condizioni pietose. Vengono riproposti riscaldamenti da documenterio di regime dell'istituto luce, vengono usati tecniche obsolete e, per chi ha un mimino di cultura in materia, anche ormai smentite dalla scienza come lo stretching balistico. Le lezioni seguono schemi odiosamente ripetitivi, vengono fatti grossolani errori di valutazione nell'allenamento di alcuni distretti muscolari (uno per tutti il sempiterno mito degli addominali alti-bassi e chi più ne ha più ne metta). In alcuni corsi "old style" la situazione è ferma a venti, se non più anni fa. Un po' di tempo fa andando a trovare un conoscente insegnante di Karate (di quelli che hanno corsi dai 4 anni in su, ad arrivare al corso parrucche bianche) vidi un coacervo immondo di errori grossolani. La dannosissima corsetta circolare su materassima morbidissima, letale per le ginocchia, il buon vecchio stretching balistico a dondolo, addominali alti, bassi, medi, semicentrali, quelli di su, quelli vicino ndo te senti meglio. Poi calcetti bassi di slancio, in scioltezza, giusto per usurare il già massacrato femorale e per chiudere in bellezza l'improbabile stretching per l'addome a mo' di gatto che si stiracchia.
Dal caso specifico al generale la didattica delle tecniche non va meglio e segue lo schema Hegeliano di tesi-antitesi-sintesi. La tecnica viene spiegata, il compagno di allenamento te la corregge (antitesi), per quell'eterno equivoco che scambia la collaborazione con l'indebita competenza, fino a chiudere con la nostra tecnica finale che abbiamo adattato alle teoria del compagno prodigo di consigli solo per non sentirlo (sintesi), secondo la teoria forse prettamente romana del tu dije de sì. L'istruttore troppo impegnato nello scrutarsi sugli immancabili specchi, ci guarda in balia del compagno saccente e sembra dirti "guarda ho staccato dal lavoro mezz'ora fa, ora non mi chiedere anche di dire al tuo amico che dice un mucchio di stronzate!".
La didattica poggia su una solida base, dunque. Io mostro, voi rifate, anche se poi sotto sotto non vi vedo.
Nel caso degli sport da combattimento si segue il modello Rocky: corsa con le fascette, i più sicuri possono mettere anche il cappuccio della felpa sulla testa, corda tesa e giù e montante, giù e montante, cambiando di lato fino ad arrivare all'esercizio della corda vero e proprio, importante certo, ma non più di saper tirare un jab. Lo giuro, non lo scrivo per l'enfasi del racconto, una volta un tale mi fece vedere come faceva bene la corda e le varianti. Frequentava un corso di boxe e non sapeva di fatto boxare, ma la corda segue il modello didattico Rocky e quindi era fiero di mostrare la sua abilità.
Talvolta il didatta marziale incompetente, vuole apparire anche sofisticato. Così mi capito che quello della palestra di Karate per paninari anni '80, mi disse che parlava giapponese. Dopo tre minuti, parlando di una tecnica del Ju Jitsu tradizionale, mi dice che era un kata guruma (era un irimi nage). Come tutti i veri cazzari il nostro poliglotta si addentra anche in una spiegazione: "Vedi kata guruma significa forma a ruota. Kata forma, guruma ruota, quindi forma a ruota". Ora, io so, sebbene l'università ancora non mi abbia dato l'alloro, che il giapponese è pieno di omofoni. E kata è uno di questi. Nella fattispecie significava spalla, tant'è che la tecnica è una ruota sulle spalle . Mi vergognai sinceramente per lui e non ebbi il coraggio di dirglielo.

mercoledì 9 marzo 2011

La mia arte marziale è migliore della tua

A "la mia arte marziale è migliore della tua" ci aspetteremo che seguisse un "gnè gnè gnè, stupidino!". Così avremmo un'informazione anagrafica su chi si sta esprimendo e sapremmo che sono dei simpatici bambini. Dai condizionali usati intuiamo che non è così. Chi scrive sul web o chi ci parla invece, spesso, è un uomo, grande, grosso e vaccinato che eppure non rifugge a queste miserrime discussioni. Devo dire però che c'è un torbido fascino nel dibattito su quale sia o quali siano le arti marziali che funzionano, altrimenti sarei un po' il bue che dice cornuto all'asino a scriverne.
Raffigurazioni dell'antico Ju Jitsu
Vediamo: Tutte le arti marziali hanno pretesa d'efficacia. E qui nasce un primo problema di individuazione nello spazio e nel tempo nonché nella qualità di questa efficacia. Dove? Quando? Per quanto tempo? Che tradotto significa: stiamo parlando di un confronto sul ring? Se sì con quali regole? Stiamo parlando di un'aggressione del bevuto di turno negli angusti spazi di una discoteca? O dell'automobilista che gli sale il Chuck Norris che c'è in lui? Stiamo parlando di efficacia nel Bronx? Ad Harlem? Nel Darfur? Personalmente ho notato, anche amaramente per quello che ne consegue, che spesso nel sud d'Italia si ha la maggiore diffidenza per le arti marziali intese come difesa personale. Il "quando?" è davvero affascinante e ci apre una serie di riflessioni importanti, in forma ancora di interrogativo. Deve essere efficace anche quando sarò più in là con l'età? Anche quando non sarò allenato come un cavallo da corsa? In quali momenti della mia vita? Può cambiare l'idea di efficacia quando sarò padre rispetto a quando ero un baldo giovine? E... "quando?" porta a "per quanto tempo?". Per quanto tempo va allenata l'arte marziale prima di essere efficace? Per quanto tempo mi devo difendere? Per quanto tempo intendo allenarmi?.
Di seguito abbiamo la "qualità" che è correlata con la "quantità": quali danni devo infliggere? Quanto danno devo infliggere? Quali persone devo affrontare? Un pugile professionista? Un postino? Tre persone? Il Gracie Jiu Jitsu stupì anche perché riusciva a sottomettere gli avversario senza arrecare grossi danni. Mi basta? Quanto voglio difendermi? Mi basta uscirne con qualche ammaccatura? Mi basta non prenderle? Mi basta mettere KO?...
Gli interrogativi sono tanti e interessanti. Non sarò io, e se lo farò non lo farò ora, che dirò che non esistono arti marziali migliori delle altre. Sarebbe forse troppo "politically correct". E' facile dire dipende da troppi fattori... ma forse è anche vero, come un po' per tutte le cose che hanno come soggetto l'essere umano. Comunque la si veda spero di aver speso queste parole riuscendo a dimostrare una sola cosa: chiunque vi dica questo è meglio di quello, a meno che non si diletti in raffinate spiegazioni, o è in malafede o ha il quoziente intellettivo di un cucciolo di testicolo.

PS
Mi è stato fatto notare in merito agli scritti chi ho dedicato ad alcuni marzialisti: "ma tu scrivi bene di tutti!". No, assolutamente no. Solo di quelli che stimo.

lunedì 7 marzo 2011

La responsabilità della didattica e della graduazione

Recentemente mi sono ritrovato a parlare con un amico insegnante di arti marziali sulle cinture, il loro significato e valore. La cintura è da sempre un argomento spinoso. Chi ne denigra il valore o ne schernisce la voglia di prenderne una superiore e chi venderebbe parenti, reni e cornee per prenderla. Come sempre la questione varia in funzione all'approccio. Lo sportivo ha tutto l'interesse di rimanere per un tempo considerevole con un grado magari non del tutto idoneo al suo livello, così potrà continuare a vincere allori. Lo studioso o l'amatore invece quando vede colmata la sua brama di tecnica e vede la sua conoscenza migliorata, può sentire finita la sua missione nel colore della cintura del momento. Scuole che vantano tempi geologici per il passaggi di grado, altre che ne distribuiscono, come ad un'asta, al miglior offerente. L'insegnante che con difficoltà ceda cinture è sicuramente un insegnante insicuro di sé stesso. Atto di viltà nei confronti della sua stessa didattica coperta da cinture basse, così nessuno potrà dirgli che ha formato delle pippe. "Vedi è cintura bianca" - "Sì ma ti segue da tre anni" - "eeeeh oh, non se la merita l'altra"... Alla stregua dei peggiori maghi e santoni, se il sortilegio fa effetto è merito loro, sennò sei tu che sei negativo, non ti sei impegnato, non hai fatto bene quello che ti dicevo... come si vede a Striscia. Verrebbe da chiedersi cosa conti l'insegnante di arti marziali se non riesce a far evolvere l'allievo neanche al primo step (o ai primi) della disciplina in questione, senza che ne abbia colpa. Altre associazioni marziali sono più furbe: il tempo sarà il tuo metro. Non importa se ti alleni come un matto, studi, approfondisci, ti alleni dentro e fuori la palestra. Il tempo ti gradua. Assurdo.
Una storia che ho raccontato per la prima volta poco tempo fa, che non avevo mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno, verte proprio sull'attribuzione della cintura.
Ero piccolo, facevo Karate, eravamo un gruppo piuttosto omogeneo, tutti novizi. Il livello era molto simile, avevamo tutti o quasi la stessa cintura. Quando arrivò il momento del passaggio di grado tutti svolgemmo l'esame, tutti bene o male nello stesso modo, allo stesso livello. La lezione dopo arriva il maestro con i diplomi e le cinture. Tra di noi c'erano due bambini molto amici tra loro e un po' più piccoli di noi. Le mamme di questi bambini erano sempre presenti alle lezioni, sempre a fare chiacchiericcio con l'insegnate, sempre in palestra. Ora che sono un po' cresciuto capisco che l'insegnante di arti marziali, come il maestro di sci, il maestro di tennis, l'idraulico e via discorrendo, ha una sua posizione nell'immaginario erotico delle donne mature in cerca di uomini prestanti e quello che sto per raccontare non mi sorprende più di tanto, almeno in questa chiave. Uno per uno fummo chiamati per il diploma e per la cintura. Come sempre evolvevamo tutti di pari grado, poi d'un tratto la sorpresa: i due figli delle due attentissime mamme fecero il salto di cintura. Saltarono un grado per andare, così, a quello successivo al nostro, così come il maestro aveva fatto forse il salto della quaglia. Come tutti i bambini sognavo di diventare Bruce Lee, di fare l'insegnante di Karate, di fare combattimenti epici e vedevo al maestro come ad una sorta di divinità avvolta di bianco e cinta di nero. Negli spogliatoi feci finta niente, mi vestii tranquillo. Arrivato in macchina con mio padre scoppiai nel pianto, il pianto di chi è stato ferito irreparabilmente. Spiegai a mio padre l'accaduto e da uomo di mondo qual è dovette con certezza indicare nel tubero che piace a tutti gli uomini la causa del misfatto. La settimana dopo il maestro mi invitò per fare una gara, e mio padre mi disse: "digli che ci mandasse quei due". Aveva ragione. Un'intera classe venne penalizzata nei confronti di due ragazzini più piccoli della media di noi, che anche in virtù della loro età non avrebbero, di lì a poco, comunque potuto accedere a gradi superiori. Lasciai così il Karate e la palestra. Ripresi più tardi ma stavolta fu il mio corpo in costruzione, attraverso le ginocchia, a tradirmi. Di lì mi sono state chiare due cose e me lo saranno per sempre. La prima è che non si scherza con i sentimenti e le ambizioni della gente e che certe persone non sono degne di avere questo enorme potere su una pletora di persone ai loro comandi. La seconda è che tira più un pelo di quella materia che un carro di buoi.

domenica 6 marzo 2011

Recensione Libri TTF: Corso di Judo

Il Judo è una delle arti marziali più diffuse sul nostro suolo e una delle prime a mettervi piede. Nato dalle ceneri dell'antico Ju Jitsu, si è imposto in occidente come pratica sportiva e marziale. Il libro in esame ha un titolo leggermente fuorviante. Non è affatto un corso in quanto non vi è traccia di esercizi, metodiche, didattica. Effettivamente è un autentico manuale che raccoglie un'infinità di tecniche anche non di codificazione Kodokan in modo enciclopedico, con spiegazioni delle esecuzioni piuttosto povere. Ad ogni buon conto il libro risulta utile per imparare l'infinita nomenclatura delle tecniche, che come noto ai praticanti, spesso prendono nomi diversi anche per insulse differenze di particolari. Di utilità indubbia per il judoka o jutsuka per il ripasso ma non credo se ne possa cavare nulla senza delle basi pregresse. Da segnalare è la parte dedicata agli strangolamenti, alle leve e alle immobilizzazioni a terra. Va detto che il titolo "Corso di Judo" è probabilmente imposto perché fa parte di una collana col ricorsivo "Corso di..." che scusa gli autori per il titolo un po' fuorviante, a mio parere. Ricco di fotografie a colori e applicazioni sportive, ne esce fuori un'ex arte marziale, totalmente votata allo sport.

Autore: Emmanuel Charlotte - Jane Bridge
Titolo: Corso di Judo
Casa editrice: De vecchi Editore

sabato 5 marzo 2011

Gian Paolo Doretti, praticante e cronista del marzialismo.

Se vedi due uomini muscolosi e tatuati, vestiti di un qualcosa a metà tra boxer e bermuda sono due le cose: o stai vedendo una reclame di intimo maschile o sei sulla Venice Beach in California. Se questi uomini sono pure in una gabbia e si stanno picchiando, allora stai vedendo un film d'azione americano di serie B e gli uomini sono nelle temibili carceri statunitensi. Se arriva qualcuno e prende la gabbia e ne fa cornice per un'opera d'arte, e i due uomini sembrano Achille e Agamennone, quel qualcuno è Gian Paolo Doretti e stiamo parlando di MMA. Le sue parole circa gli incontri di MMA scivolano sugli occhi come pagine d'Epica e anche pugni e calci sembrano disegnare significati esistenziali e assoluti.
La sua presenza sul web, fin dal paleolitico di internet, ne fanno un nome noto e apprezzato, uno dei pochi punti di raccordo per tutti. Se parli con una persona e vuoi incontrare facile assenso, non hai che da lodare Gian Paolo. Senza la pretesa della simpatia, del piacere a tutti i costi, del politicamente corretto, è unanimamente apprezzato per la sua onestà e per aver reso un impagabile servigio gratuito a tantissimi appassionati di MMA, Jiu Jitsu e affini. Come spero sia ampiamente visibile, perché ne sarei onorato, il lavoro di Gian Paolo ha notevolmente influenzato anche me e questo sito stesso. Pioniere della pratica del Jiu Jitsu e della sua diffusione, inventore delle MMA per internet, Gian Paolo continua a raccontarsi nel suo sito My Road to Black.
Un aneddoto, anche se vergognoso per me, spiega bene Gian Paolo. Nel corso che seguivo venne un ragazzo tedesco se non mi inganno per motivi di studio in Italia. Arrogante e antipatico come solo alcuni tedeschi sanno essere, si conquisto presto la mia malevolenza, e in una delle sue tante prove di forza mascherate da scherno mi fece imbestialire e non seppi fare di meglio che lanciarmi in un miserabile turpiloquio e in una serie di rovinose minacce, un po' alla Cassano quando lanciò con la samp la maglia addosso all'arbitro. Finità qui la cronca del mio censurabile comportamento, appena calmati gli animi mi recai da Gian Paolo, che quel giorno aveva la responsabilità del corso in assenza di Gianfranco delli Paoli, e gli chiesi scusa convinto che mi avrebbe fatto un cazziatone in cui dover tornare un po' fanciullo. Gian Paolo mi rincuorò con qualcosa di simile ad un "sono cose che possono succedere, anche questo è umano". Ora io non so quale figura abbia la saggezza, ma credo che questo gli somigli quantomeno. Visto che conservo, per evidenti motivi, ottima memoria del giorno in causa, non posso non raccontare che quel giorno Gian Paolo fece sparring col grande e grosso crucco umiliandolo con una delicatezza e con una tecnica che ancora adesso non ho conosciuto per mio uso.
In origine questo post doveva avere a seguito una vecchia intervista di Gian Paolo. Speranzoso di poterla fare io, per catturare il suo pensiero sempre profondo e denso di spunti, forte di una promessa di "uscita con birra", rimando ad una ulteriore cronaca del Doretti a quando potrò sottoporlo a nuove e più attuali domande.

venerdì 4 marzo 2011

Jiu Jitsu training e intervista a Rogerio Olegario.

Motivo principale della pubblicazione del video, oltre che per l'impostazione stessa del sito, è una nuova dimensione del provare a combattere: il provare a farlo serenamente. Confrontarsi, anche giocosamente, col Mestre Rogerio è comunque impresa difficile. La sua incredibile forza, particolarmente in isometria, il suo Jiu Jitsu, come dirà anche nell'intervista nell'intervista, di pressione, di alternanza di stasi e esplosività, è una prova snervante. Rogerio sembra una pietra inamovibile. Il sorriso, lo scherzo e la battuta sono compagni fedeli d'allenamento. Compagni che non fanno mancare né rispetto né impegno.
Sotto il video di allenamento, l'intervista. Abbiamo convenuto di farla in una lingua d'incontro, col mio portoghese -brasiliano da viaggio d'avventura, e qualche parola italiana di Rogerio buttata qua e là. Il progetto era e rimane di sottotitolarlo. Dopo che in tre quarti d'ora ho sottotitolato solamente le due frasi iniziali ho deciso di rimandare il sottotitolaggio a tempo indeterminato. A chi non riesca a capire l'intervista prego comunque di saltare al minuto 8:30 ove apprezzare una chicca...



mercoledì 2 marzo 2011

Allenamento col Campione

Michele Verginelli si presenta da solo. Chiunque sia un po' dentro le arti marziali o gli sport da combattimento conosce il suo nome, la sua fama e il suo valore. Girando qua e là per le palestre romane ogni tanto incontravo e incontro qualcuno che racconta le gesta di Michele, estasiato da una sua qualche prova di arte nel combattimento. Come tutti i veri campioni si confronta in tutto quello che capita, incarnando lo spirito delle arti marziali miste. Disponibile, umile e cortese. Il contrario di molti osannati maestri col curriculum vuoto e la pancia gonfia che, di Michele, non hanno nemmeno un decimo dell'esperienza. Scriverne è quasi imbarazzante, non vi resta che ammirarne i video su YouTube, difficilmente potrò renderne il valore con le parole. Per chi è davvero appassionato di MMA non posso fare altro che consigliare di contattare il sempre disponibile Michele e di almeno provare le sue lezioni o, meglio, fare come me e seguire un percorso. Da parte mia un grande ringraziamento per la sua non scontata dedizione e soprattutto per la sua infinita pazienza nell'impostarmi.


Un ringraziamento anche alla splendida e intima struttura della palestra Yubikai, sita in Piazza Marco da Tomba 12, a Roma. Zona Eur Garbatella

Tutti giù per terra!

Io di schiena nel 1994. Esame cintura arancione Karate Wado Ryu
Ho iniziato la pratica delle arti marziali nel 1993. A quel tempo le arti marziali avevano divisioni molto sommarie e spicciole. Il karate era per gli emuli di Bruce Lee e per chi amava i film di Van Damme, il Judo per i corpulenti cicciottelli, Il Kung Fu qualcosa di esotico avvolto nel mistero. Poi c'erano gli sport da combattimento, ma a quel tempo, credo, le arti marziali andavano per la maggiore e gli si attribuiva una potenza segreta e sconosciuta ma letale.
Una volta Bas Rutten disse che la prima volta che fu portato di forza a lottare a terra pensò "sì ok, ora alzati e combatti come un uomo!". In quegli anni tutti la pensavamo come Bas Rutten e nel combattimento vedevamo al massimo una persona a terra: quella che, nei nostri desideri, avremmo battuto.
Ho avuto modo di osservare per anni lezioni di Judo dall'esterno e le tanto decantate Ne Waza, oggi prontamente riscoperte, io personalmente non le ho mai viste al tempo di cui racconto. Stavamo tutti in piedi, felici nelle nostre sicurezze. Gli unici che realmente studiavano tecniche a terra erano i praticanti di Ju Jitsu giapponese, oggi, spesso, immeritatamente messi a distanza dai groundfighter.
Dopo questo periodo, arrivarono notizie sui Gracie, sul Jiu Jitsu e sulle Arti Marziali Miste e l'interesse per la lotta a terra iniziò a far crollare le sicurezze d'un tempo. Il resto è l'oggi, ove le MMA e il Jiu Jitsu hanno ormai una popolarità consolidata e un po' modaiola.
Corsi di Karate, ove un tempo non veniva insegnata una proiezione neanche a pagarla oro anche laddove era stilisticamente coerente, oggi, quando gli allievi vanno a terra, magari li lasciano continuare. Partono allora improbabili ghigliottine, tentatvi di monta, arm lock che non spezzerebbero neanche il pane per rendere grazia, si cela lo squilibrio con improbabili proiezioni di sacrificio, tanto il karategi è simile al gi da Jiu Jitsu e in fondo non se ne accorge nessuno . Nei corsi di Kung Fu addirittura qualcuno giura, con ricerche d'archeologia marziale, che un tempo c'era la lotta a terra nel loro stile e che ne dovrebbe parlare anche Piero Angela su Quark, in un documentario sulla storia della Cina. I Kickboxer non si fanno mancare uno stage di lotta a terra se capita, perché un po come con le figurine "i pugni ce l'ho, i calci ce l'ho...mmm... me manca a lotta e poi faccio MMA e jo dico a amici mia!", un brivido percorre la schiena del fanciullo. Potrebbe diventare di botto il più matto della comitiva.
Un giocatore di calcio in "inverted guard". Studiata prima della partita.
I corsi di difesa personale due tre cose sulla lotta a terra te le buttano sempre, dà quel tocco di barbaro che ben si addice agli street fighter.
Personalmente rifuggo dalle categorizzazioni, che pure talvolta per comodità uso, come "grappler" o "striker" o addirittura cazzate come "kicker" per indicare uno abile a calciare. Non mi sento un grappler, non mi sento uno striker, al kicker preferisco i cioccolatosi snikers. Anzi faccio una fatica boia a passare da un allenamento specialistico all'altro e chi lo ha provato sa di cosa parlo e di quanto si sviluppino fiato, forza e qualità muscolari incredibilmente differenti. Non sono neanche uno di quegli esaltati che pensa che lotta a terra sia sinonimo di Jiu Jitsu brasiliano. No, ce ne sono altri di sistemi e di approcci. Magari meno specialistici, ma ce ne sono altri, anche di recente fattura. Quindi perché ironizzo su quanti si lanciano spericolati nella lotta a terra? perché sono convinto delle verità che si possono estrapolare da filosofie orientali come lo zen. La condizione di colui che non sa lottare a terra, qualora capitasse, lo porterebbe in automatico nello stato di mushin, ovvero lotterebbe di pura intenzione senza che lo spirito si fissi in nessun modo su qualcosa. Insegnare cose così alla carlona, tanto perché "lo facciamo pure noi", è l'illusione del sapere. Ciò impedirà il mushin e renderà impossibile combattere con la disarmante spontaneità dei neofiti. Si crederà di sapere qualcosa, ma la mancanza di padronanza ci renderà goffi e impediti. La spontaneità è più efficace di un attributo malamente allenato. Posso garantire, perché penso che sia un pensiero condiviso, che di fronte ad uno specialista della lotta a terra è più insidioso chi non sa lottare per niente che chi si è rotolato a terra come in preda a una colica due volte in palestra.